CULTURA

Il mistero che luccicadentro le cose

A proposito di «Vita meravigliosa», l’ultimo libro della poeta per Einaudi
SARA DE SIMONEITALIA

Ad aprire il nuovo, e così atteso, libro di poesie di Patrizia Cavalli (Vita Meravigliosa, Einaudi, pp. 128, euro 11) c’è un epigramma di settenari perfetti, un piccolo inno indirizzato alla vita, grato e pungente: «Vita meravigliosa/ sempre mi meravigli/ che pure senza figli/ mi resti ancora sposa». Sono versi che la poeta – così vuole essere chiamata, così la chiamò Elsa Morante negli anni ’70, quando scoprì il suo talento – appone come dedica alla vita che non l’abbandona, e forse anche come invocazione, perché l’unione, complice, continui.
DALL’ESORDIO DEL 1974 ad oggi, sono molte le forme in cui Patrizia Cavalli ci ha abituati a conoscere e riconoscere la vita meravigliosa dentro i suoi versi. La vita della natura, anzitutto: pochi altri poeti contemporanei sono stati in grado di raccontare come lei – con tanta ossessione meteorologica, e dunque tanta precisa competenza – le minime variazioni della luce e del cielo, i cambi di stagione, le architetture mutevoli del paesaggio. D’altra parte, rara e preziosa si è sempre dimostrata anche la sua capacità di descrivere gli interni: case, stanze, stanzette, con una speciale attenzione alla vita degli oggetti, protagonisti noncuranti eppure assidui interlocutori, trattati ora con stizza per la loro ottusa evidenza fenomenica – «Ah smetti sedia di esser così sedia!», scriveva in una raccolta del ’92 – ora con gratitudine per il conforto e la protezione che, domestici e consueti, sanno offrire.
Ancora l’abbiamo letta e riconosciuta, questa vita meravigliosa, nelle sue poesie d’amore in cui – più scientifica che sentimentale – Cavalli ci ha messo ripetutamente di fronte ai misteri del cuore: come e perché ci innamoriamo? «C’è nell’amore volontà di amare»? Quanto aggiungiamo di nostro a un volto amato, a furia di pensarlo? E vale la pena tormentarsi tanto, o è meglio dedicarsi «al fisso amore», ad un «amore stanco», e per ciò stesso «perfetto»?
Si tratta delle domande che ogni grande poeta d’amore ha formulato nei secoli, e che Patrizia Cavalli ha svolto nel nostro con rara esattezza linguistica, musicale e filosofica – quasi sempre i grandi poeti sono anche filosofi – rendendoci lettori delle nostre stesse affezioni sentimentali, e dei processi fisico-chimici che le governano: come si gonfia o impicciolisce nella mente un’ossessione amorosa; quanto di noi si scioglie nel corpo dell’amante se lo tocchiamo, ma anche se non lo tocchiamo; quale segreto nesso concausale tiene legati amore e mal di testa; dove riposa in noi Amore quando dorme, e con dove s’intenda non il luogo astratto, ma la sede precisa (per Cavalli è «proprio in quel punto dove mi fa male,/ dietro la quarta vertebra dorsale»).
TUTTI FENOMENI che si è incaricata di indagare senza tesi preconcette, ma con vero assillo conoscitivo, e insieme desiderio di descrivere la cosa per quella che è, non adornandola né alludendo a ulteriorità che potessero nobilitarla: nella poesia di Cavalli la vita è anche «puzza di fritto», «fogli di carta spiegazzati», carciofi abbandonati al centro di una piazza, e «pomodori sfatti», «odori atroci di maschi» in fila alla posta, nasi gonfi, motorini notturni. Una vita in cui si capisce di essere adulti da come la notte si va al gabinetto, ovvero «sapendo di guardare» il percorso verso il bagno (nell’infanzia era solo un attraversamento trasognato), o in cui salendo le scale, pieni di angoscia e irritazione per una fitta improvvisa, ci si ritrova a imprecare: «ma adesso/ che cazzo vuole da me questo dolore/ al petto quasi al centro!».
Sì, è senz’altro anche qui che riconosciamo la «vita meravigliosa» di Patrizia Cavalli. «Meravigliosa», in definitiva, perché la si può nominare, vita detta e significata attraverso le parole che la rappresentano nel suo essere, nel suo semplice svolgersi, elementare eppure così difficile da fermare. Meravigliosa è quella vita catturata dalla poesia, che alla vita riesce a somigliare. Che, per di più, ce la mostra. In ogni accadimento, anche quello che non siamo riusciti a cogliere, e che pure ci è familiare, perché lo abbiamo vissuto senza dirlo.
È proprio questo, forse, il nucleo più vero e intenso dell’opera di Cavalli, che in quest’ultima raccolta si chiarisce ulteriormente. In Vita meravigliosa tornano immancabili il cielo, gli alberi, i gatti, le stagioni; torna la memoria di Elsa Morante, e la descrizione di un gioco che, fra amici, si faceva insieme a lei – una sorta di Chi porti in Paradiso?, cui Morante rispondeva ogni volta con un sicuro: «Patrizia» –; torna la Musa delle molte poesie d’amore, come sempre necessaria e insopportabile, ma con un’aggiunta di tenerezza dettata dal tempo: «Potresti tu adesso stare qui/ con la tua pancia grassa e io con la mia/ e io avrei pietà di te e di me,/ una pietà leggera che non piange». Torna soprattutto, e si svolge qui pienamente, il discorso sulla poesia, su come e quanto sia possibile dire e fermare la vita attraverso parole: «Se mi si disfa…se mi si disfa/ nel cuore la parola e non ho mente/ per riaverla insieme…». La preoccupazione per il vuoto di memoria, che minaccia non solo la vita in sé, ma soprattutto la vita-da-dire, intensifica l’attenzione al testo, inteso come tessuto che connette, come arco che si tende e tiene uniti corpo, parola, mondo: «Basta un piccolo arco che si tende/ da un suono all’altro, un arco/ che comprende e ancora per un po’/ io sono insieme». E ancora: «E me ne devo andare via così?/ Non che mi aspetti il disegno compiuto/ ciò che si vede alla fine del ricamo/ Ma quel che ho visto si è tutto cancellato./ E quasi non avevo cominciato.».
TORNA ALLA MENTE, leggendo questi versi, la piccola parabola di cui Karen Blixen riferisce ne La mia Africa e che racconta di come un uomo, svegliato improvvisamente da un terribile rumore, trascorra una nottata di tribolazioni tra lo stagno e il campo circostanti la sua casa nel tentativo di richiudere una falla, e di come poi, l’indomani, a incidente concluso, affacciandosi alla finestra, egli si accorga che le tracce che ha lasciato nella notte, così confuse nella sua memoria, formino in realtà il disegno di una cicogna. Alla parabola segue la difficile domanda della scrittrice: «Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna?».
Vorremmo dire a Patrizia Cavalli che tutte le sue opere composte fino ad oggi, per noi che le vediamo dal di fuori, formano un disegno meraviglioso, una figura riconoscibile che questo libro persegue con visibile armonia di tratti. Ma poi leggiamo un’altra delle sue nuove poesie, sul potere del bacio «Ah l’avessi saputo/ che bastava un bacio per aprirmi le vie dell’universo:/ stelle e pianeti che si incrociano/ parlando, costellazioni intere/ che si intessono./ E io in mezzo a loro che le guardo/ tessile ordito ardente/ che reggo, e non domando», e allora comprendiamo che ciò che rende una «vita meravigliosa» non è solo e non è tanto quello che si capisce – il processo spiegato, il male interpretato, la forma distinguibile – ma quello che non si capisce e al cospetto di cui si sta, compatti e ardenti, senza domandare. Il mistero, o più precisamente quello che Shakespeare, ben noto a Cavalli, avrebbe chiamato «the mystery within», il mistero dentro le cose, che non solo le abita, ma abitandole le tiene insieme. Le fa esistere.
PER QUESTO MOTIVO, non possiamo che affidarci ad un’ultima fra le poesie di Vita meravigliosa: «Ma prima di morire/ forse potrò capire/ la mia incerta e oscura condizione.// Forse per non morire/ continuo a non capire/ sicura in questa chiara confusione.».
Baciati dai versi di Patrizia Cavalli, anche noi ci sentiamo così: incerti eppure interi, come tenuti insieme dal mistero della sua poesia. Il punto non è vedere il disegno, ma sentire – grazie a lei – di farne parte.

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