CULTURA

Nella casa flessibile dove abitano le donne emancipate

Parla Jana Revedin, autrice di «La signora Bauhaus», romanzo che ripercorre la vita della moglie di Gropius
ARIANNA DI GENOVAgermania/ITALIA/vicenza

Fresca di lutto per sua madre, trovata morta sulla sponda di uno stagno, la giovane Ise Frank continua a costeggiare quelle acque torbide e a cercarle affannosamente, svolgendo una vita quasi monacale, divisa fra la casa editrice nella quale lavora a Monaco e il cugino nonché promesso sposo Hermann. Fino al giorno in cui un’amica intraprendente la conduce, riluttante, alla conferenza di un architetto che sta terremotando il campo della «costruzione». Lui è Walter Gropius e non riscuote l’immediata simpatia della ragazza. Ma quando tornerà da lei a Monaco, per invitarla alla prima mostra del Bauhaus, qualcosa in Ise Frank è cambiato: bruciando le tappe dell’attesa, i due si uniranno per formare uno di sodalizi più intensi della storia delle idee del ’900.
Jana Revedin, docente, architetto e scrittrice, dopo meticolosi studi e incontri dal vivo, ha deciso di rendere omaggio alla personalità della moglie di Gropius nella sua biografia/romanzo La signora Bauhaus (in uscita per Neri Pozza il 10 settembre, pp.304, euro 18, traduzione dal tedesco di Alessandra Petrelli). Il suo libro risarcisce anche il lungo oblio che ha avvolto Ise Frank. Eppure, in una delle immagini più celebri del Bauhaus, era lei quella che posava indossando una maschera sulla sedia Breuer.
«Con i miei studenti, mentre leggevamo il trattato del 1924 La nuova casa: La donna creatrice di Bruno Taut, l’architetto dei famosi quartieri popolari di Berlino, scoprimmo che le invenzioni ’ergonomiche’ importate dai processi industriali americani non furono solo annunciate teoricamente - spiega l’autrice -. Già nell’anno seguente furono esperimentate in una casa a Dessau: era l’abitazione del direttore che Gropius costruì per sé e sua moglie. Qui Ise, insieme a Taut, disegnò gli spazi e gli interni della ’donna emancipata moderna’. Era qualcosa di speciale perché Ise non era architetto, ma giornalista e scrittrice. Aveva sposato Gropius - più anziano di lei – ed era diventata ’l’anima’ del suo movimento riformista solo l’anno prima. Ho cominciato a interessarmi a questa donna, totalmente dimenticata. Cosa aveva spinto una figlia dell’alta borghesia ebrea a legarsi a uno squattrinato architetto autodidatta e a costruire con lui un’idea pedagogica che sarebbe stata così rivoluzionaria?».
La sua è una storia caduta nel buio, nonostante all’epoca fosse «la signora Bauhaus»...
Procedendo con i miei studi, c’è stato un momento in cui ho deciso di abbandonare il genere del saggio – che accompagna l’intera mia vita di ricercatrice - e di osare la forma narrativa del romanzo. Volevo toccare la pelle dei protagonisti, come meravigliosamente diceva Michelangelo… Mi sono voluta assumere il rischio, fidandomi di Ise, che in qualche modo mi aveva cercata. Anche lei, nata in condizioni assai agiate, in fondo era stata ribelle. Per di più, c’erano molte consonanze tra la sua vita e la mia e questo mi rassicurava. Ho vissuto dentro le strutture dell’architettura riformista da quando sono nata, crescendo in una casa disegnata da un discepolo di Gropius. L’avanguardia tedesca faceva parte del nostro quotidiano e i miei nonni erano amici diretti dei protagonisti della «nuova democrazia» della Repubblica di Weimar. Facendo ricerche più precise sulla vita di Gropius e Ise Frank dovevo però trovare dei testimoni ancora viventi, dato che i due fuggirono dalla Germania con l’avvento di Hitler, nel 1933. Li ho trovati in America, negli anziani assistenti di Gropius a Harvard. E ho rintracciato e conosciuto l’ultima nipote di Ise Frank, Evelyne.
Ise non insegnava, ma propagandava le idee del Bauhaus... Era giornalista e scrittrice di formazione, sapeva dunque scrivere. Sapeva guardare con occhio critico, anche divertito, quella ménagerie del collegio docenti riunito da Gropius. Ma sapeva soprattutto ascoltare. Aveva un’influenza costruttiva sul marito, che spesso prendeva decisioni d’impulso e troppo in fretta. Non scavalcava la posizione di nessuno, ma i suoi consigli erano di una tale saggezza che venivano accettati con naturalezza dal Meisterrat, il consiglio del Bauhaus. Rispettava le affinità elettive degli artisti e innovatori, ma stimolava diligentemente la nuova generazione – alla quale lei stessa apparteneva – e, tra di loro, soprattutto le donne e i membri delle minoranze etniche e religiose.
Qual è stata la sua influenza nella scuola?
Sposando Gropius, nell’ottobre del 1923, Ise sposò anche il progetto del Bauhaus, lasciando da parte la sua carriera personale di scrittrice. Non c’è un articolo, una conferenza, un commentario di Gropius che non abbia redatto lei stessa. Tutto ciò si può iscrivere nell’approccio «goethiano» a un’idea collettiva che superasse ogni narcisismo individuale. La sua chiaroveggenza, che in soli cinque anni tra 1923 e 1928 determinò la filosofia didattica e compositiva del movimento, conserva ancora oggi intatto il suo fascino. Già alla fine del 1927 si rese conto che la situazione politica a Weimar non si sarebbe più rischiarata, né per la scuola del Bauhaus, né per i professori e studenti, disprezzati dall’ascendente apparato politico nazista. Insieme alla sua amica, la fotografa Irene Hecht, ebrea come lei, escogitò un piano di fuga. Rimanere in Germania non era un’opzione percorribile per quel «branco di comunisti e ebrei». Era tempo per il «metodo Bauhaus» di emigrare altrove, nei paesi liberali europei e oltreoceano. La loro scelta cadde sulla Francia, lì Ise Frank poteva contare su suo cugino Jean-Michel Frank, designer in voga; sulla Turchia, dove Ernst Egli dirigeva la facoltà di architettura Mimar Sinan di Istanbul. E sull’America: qui Joseph Hudnut, sostenitore della pedagogia interdisciplinare di Gropius, era docente a New York. Tre luoghi che ospiteranno dal 1928 le prime mostre sull’«idea Bauhaus« e diventeranno le mete dell’esilio dei suoi protagonisti, declassati a «nemici del Reich». Senza Ise, la memoria del Bauhaus, negli anni tumultuosi della guerra, sarebbe andata dispersa.
È vero che aveva prodotto lei stessa alcuni pezzi di design?
No, questo giustamente lo lasciava fare agli assistenti del Bauhaus, Marianne Brandt, Marcel Breuer, Gunta Stölzl e i loro allievi. Ma li aveva riuniti nella sua casa, che poi era quella del direttore a Dessau. È significativo che nel film documentario che Ise fece realizzare alla fine del suo periodo a Dessau, nel 1927 (Das neue Haus, prodotto da Bruno Taut per la Humboldt Film), il reportage sulla casa abbia la stessa importanza di quelli imperniati sugli atelier del Bauhaus. Nel Direttorenhaus, Ise riceveva presidi di scuola, critici e giornalisti, ma non solo. Protagonisti interdisciplinari dell’avanguardia arrivavano da lontano per promuovere poi la «casa della donna emancipata moderna» nei loro propri paesi - editori come Victoria Ocampo, fotografi come Man Ray, musicisti come Cole Porter o designer come Jean-Michel Frank.
È rintracciabile un’eredità di quegli ideali nella Germania odierna?
Da un lato, direi l’appello al valore equo tra i membri di una società. La casa «emancipata» era un luogo libero, flessibile, un luogo di lavoro, di riflessione, di comunicazione, di svago… Non più lo spazio borghese di rappresentazione per uno status symbol. Si poteva adattare a tante funzioni diverse, perché la donna moderna si immaginava lavoratrice allo stesso livello – e con gli stessi diritti a servizi, riposo e comunicazione - dell’uomo. La sua idea era quella di offrire alla donna «una vita più leggera, scevra dalle monotone fatiche quotidiane» grazie al disegno intelligente degli interni: distanze corte, «il risparmio di gesti e movimenti» così come attrezzature rivoluzionarie adottate dai processi industriali». La donna emancipata poteva investire il suo tempo nello sviluppo delle proprie facoltà, interessi, professionalità. Dall’altro lato, Ise – e così questo libro – ha cercato di tramandare l’eredità delle tre linee di ricerca e battaglia del Bauhaus, per stimolare uno sviluppo democratico universale. Gropius fondò il Bauhaus e l’etica di un’architettura che era «scienza, mestiere e arte al servizio della società» nel 1919. Solo nove anni dopo, sarà costretto a partire da Dessau. L’insieme dei protagonisti, che in quello scarso decennio lottarono con lui per intendere il mestiere dell’architetto come atto collettivo, non uno star-system individuale, finì in gran parte disperso. Alcuni membri e allievi morirono nei campi di concentramento; altri, come Bruno Taut, furono vinti dall’esaurimento nervoso causato dalla persecuzione nazista. In quei pochi anni, però, si era creato un movimento che sopravvive nell’architettura sostenibile, partecipativa dei nostri giorni. Primo, il Bauhaus delineava la «città ecologica» (riassunta nel Ciam del 1932 di Zurigo) che, dopo l’impressionante migrazione dalle campagne ai centri urbani dell’epoca, mirava a uno sviluppo urbano rispettoso dell’ambiente e delle sue risorse. Secondo, si esperimentava la pedagogia interdisciplinare vitruviana, intrecciandola al concetto di apprendimento attivo di Patrick Geddes: nessun maestro del Bauhaus era architetto, ma artista, scrittore, artigiano, regista, cineasta… Terzo, si credeva nell’emancipazione sociale di tutti. Gropius fu il primo direttore che ammise, nel 1919, le donne agli studi di architettura.
Ise Frank e Walter Gropius: che tipo di coppia erano?
Una coppia che somigliava alla loro «casa del direttore», che fu ricostruita pure nell’esilio a Harvard. Una coppia introversa, ma divertente. I diari eseguiti a mo’ di disegni animati dalla loro figlia adottiva Beate - che ho visionato grazie alla fiducia di Evelyne Frank - parlano più di tutte le biografie. Ise, arrivando nella tradizionalissima scuola di Harvard, scoprì che i suoi testi progressisti non erano graditi. L’America «liberale», salvifica per due naufraghi politici, era lontana dall’accettare quella «donna moderna» per la quale lei si batteva da anni. Ise accordò la preferenza all’idea Bauhaus e scrisse con il nome del marito per il resto della sua vita. In cambio, Gropius le dedicò ogni pubblicazione. Una delusione? Certamente. Ma in quel momento, Ise Frank seppe dare tempo al tempo. Con il mio libro ho cercato di riportare alla luce il suo tenace e commovente impegno.

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