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Artisti sul filo. Jiri Menzel

SILVANA SILVESTRIREPUBBLICA CECA/praga

Proprio alla Mostra di Venezia abbiamo incontrato l’ultima volta Jiri Menzel, scomparso domenica a Praga all’età di 82 anni. Non riusciva a entrare nei varchi del palazzo pur avendo un suo film in concorso, perché sprovvisto del tesserino di riconoscimento, incurante certo del protocollo. Ed era stato anche difficile convincere gli addetti ai cancelli, lui che era un premio Oscar. Lo avevamo eletto come nostro punto di riferimento nell’esplorazione del cinema ceco che avevamo fatto all’inizio degli anni ’80, un confronto non certo facile nel paese ancora blindato, chiuso ai giornalisti occidentali. Lo avevamo scelto perché non era stato per niente accondiscendente e per il suo caustico spirito metropolitano.
A PRAGA volevamo soprattutto incontrare i ragazzi della nova vlna che avevano partecipato al grande movimento di rivoluzione cinematografica, come in Francia la Nouvelle Vague o in Inghilterra il Free cinema. Il titolo chiave della generazione, film di cui non si avevano tracce era Perline sul fondo (Perlicky na dne) del ’66. Menzel ci raccontò che aveva avuto l’idea di far realizzare ad ognuno di alcuni suoi compagni della scuola di cinema, la Famu, un racconto di Bohumil Hrabal: Menzel firmò La morte di Balthazar, gli altri episodi furono firmati da Vera Chytilova, Jaromil Jires, Ewald Schorm, Jan Nemec che diventarono ben presto altrettante celebrità, ognuno con una diversa caratteristica, tutti accomunati da spirito ribelle, rigore formale, audacia. «La più brava di tutti era Chytilova» ci diceva Menzel, aggiungendo che dal loro maestro Otakar Vavra, regista già famoso prima della guerra, avevano imparato a tenere occhi e orecchie ben aperti. Siamo stati testimoni, al festival di Karlovy Vary, aprendo una porta non prevista dal protocollo, alla prima proiezione del film appena tirato fuori dai cellari in cui era stato sepolto dopo la Primavera di Praga, insieme ad altri film imprigionati per circa vent’anni.
JIRI MENZEL ha avuto Bohumil Hrabal al suo fianco durante tutto il corso della sua attività di regista: «è comodo, diceva, lui fa tutto il lavoro, io mi limito a metterlo in scena». Ha moltiplicato con le immagini il lavoro di un intellettuale scomodo, proibito, i cui libri circolavano solo clandestinamente (e per ironia della sorte, lo avevano anche fatto lavorare in una fabbrica dove di mandavano al macero i libri censurati).
Proprio da un romanzo di Hrabal con Treni strettamente sorvegliati Menzel aveva ottenuto il premio Oscar come miglior film in lingua straniera, vinto a neanche trent’anni, storia del giovane ferroviere Milos in una Boemia occupata dai nazisti, che si lascia coinvolgere in un’azione di sabotaggio per corteggiare la bella partigiana. Un film che contiene già tutte le caratteristiche della sua poetica, l’insolenza della gioventù, la presa in giro del potere, le dinamiche interne al «piccolo villaggio», una tradizione che si riferisce a tempi lontani, alla fine dell’Ottocento, in difesa culturale di una terra invasa più volte. Questa eco lontana si percepisce nei film di Menzel che sembrano essere a volte inoffensive storie campestri di personaggi dediti ai piccoli piaceri della vita, disimpegnati, frequentatori di osterie di paese, come il successivo Un’estate capricciosa (’68) da un romanzo di Vancura, ambientato in una stazione termale. O come Ritagli (1981) il primo film che gli fu consentito girare dopo la sua messa al bando insieme a tutti quei giovani così geniali dai talenti spezzati.
ANCHE Ritagli (presentato in concorso a Venezia 38) è tratto da un romanzo di Hrabal, ambientato nella fabbrica di birra di un pacifico villaggio con personaggi che evocano gli stessi familiari dello scrittore, la madre, il padre direttore della fabbrica, lo zio imprevedibile, immersi in una natura solare, racconto dal tono lirico e umoristico, una caratteristica che non manca mai in Hrabal e in Menzel. La festa dei bucaneve, dell’84 è un film sul nuovo ceto medio del paese dopo la normalizzazione, umoristica situazione creata dall’incontro tra i villeggianti delle casette unifamiliari con nani in giardino e i residenti che stazionano all’osteria. Il film era girato a Kersko non lontano da Praga, dove incontrammo lo scrittore che lì aveva un cottage e seguimmo qualche ripresa, incontri fondamentali per comprendere lo spirito caustico e insieme poetico dei due artisti.
Ma solo dopo parecchi anni si poté capire la strada che il regista avrebbe seguito se avesse potuto lavorare liberamente, quando fu scongelato Le allodole sul filo (dal romanzo «Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare»), un film del ’69 che si poté vedere solo nel 1990, e fu premiato a Berlino con l’Orso d’oro, operai e prigioniere in un campo durante lo stalinismo a Kladno addetti a smaltire rottami di ferro, film vietato per venti anni per le critiche al regime, che trapelavano da una storia d’amore, centrale, come sempre nei suoi film, dove le piccole storie fanno emergere la grande Storia sullo sfondo.

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