VISIONI

Andrej Khrzhanovskij e la caccia agli intellettuali «anticonformisti»

MOSTRA INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA
SILVANA SILVESTRIITALIA/pesaro

Maestro del cinema di animazione, il regista russo Andrej Khrzhanovskij, classe 1939, entra a pieno titolo nella categoria del Nuovo cinema per la sua creatività e irriverenza giovanile: The nose or conspiracy of the mavericks (Il naso o la cospirazione degli anticonformisti) è una travolgente opera in tre atti sull’annientamento degli intellettuali scomodi in Urss e in ogni paese che disprezzi l’autonomia degli intellettuali. Gli «anticonformisti», gli artisti «scomodi» viaggiano nella stessa direzione su un aereo (Ejzensteijn, Tonino Guerra e tanti volti che si impareranno a conoscere via via, mentre sugli schermi tv compaiono le tante scene censurate dei film di Tarkovskij, di German, di Marlen Khutsiev, autentico brano di «film-saggio». I disegni e i colori tenui sembrano togliere ferocia al racconto, lasciandola scorrere sotterraneamente durante tutto il film, ironico e violento.
L’ANIMAZIONE ha la particolarità di sembrare innocua, ma nei paesi dell’est una lunga tradizione a scavalcare la censura l’ha resa arma infallibile e velenosa. «Il naso» si riferisce al racconto di Gogol’, satira dell’epoca dello zar Alessandro I, l’appendice che si stacca dal viso di un giovane funzionario che ha intrapreso la sua scalata sociale, resa ormai vana senza il naso che lo renda presentabile in società. Il racconto ispirò Shostakovich che non riuscì a portare in scena l’opera sprezzante dei costumi e dei luoghi di potere della sua epoca (la Pravda la definì «caos invece che musica»). Si sarebbe potuta rappresentare, ma senza parole e avrebbe perso il suo significato. Ci pensa ora Khrzhanovskij che nel ’60 ricevette l’autorizzazione scritta da Shostakovich a realizzare il film, a rendere visibili le metafore surreali, con salti anacronistici e significativi (i pionieri come bravi boy scout riportano invano il naso trovato per strada, Putin appare in un flash). Nel secondo atto si racconta la storia dell’amicizia tra Stalin e Bulgakov che infine parte lasciando nell’amico una incolmabile malinconia.
MA IL CAPO si annoia, decide di andare all’opera e chiama i membri del comitato centrale, pronti a scattare a ogni suo ordine, mentre sono impegnati a giocare a domino, con il trenino elettrico, o a sorbire cucchiaiate di latte: tutti in macchina, Zhdanov seduto sulle sue ginocchia perché non c’è più posto. Un’auto che si leva in volo e oscura con la sua ombra tutta la città. Il realismo socialista è promulgato (’32-’52). Tutte le opere degli artisti sono via via cancellate e al loro posto nei musei compaiono solo i ritratti di Stalin. Non è che il preludio al drammatico «terzo sogno», con il trionfo della melodia popolare, dell’opera caucasica, della vigilanza contro l’arte borghese, in un’esplosione crescente di vite spezzate: Mejerchold, Osip, Isaak Babel Pavel Florenskij, Olga Bergholz, Nikolaj Vavilov, Shalamon Varlam, Georgij Zhzhonov l’attore che dopo quindici anni in Siberia interpretò spesso parti di agente del Kgb. Un mosaico infinito di volti, dai disegni alle foto, pesante marchio definitivo della realtà, quelle foto che un tempo venivano fatte sparire come «damnatio memoriae» dopo aver eliminato gli originali.
UN FINALE bruciante che ci ha fatto ricordare le infuocate assemblee della mostra Pesaro dagli anni ’70 agli ’80, quando Lino Micciché riusciva, non si sa come, a far arrivare i registi più perseguitati e censurati dell’intera Unione Sovietica, compreso Iosseliani con una guardia del corpo sempre alle spalle a controllarlo, di cui lui non si curava minimamente. Khrzhanovskij sarà a Venezia con Il lungo viaggio (1997) omaggio a Tonino Guerra (sua la sceneggiatura), realizzato con i disegni preparatori dei film di Fellini.

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