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L’amore negato da ingiusti divieti anti Covid

Fuoriluogo
GRAZIA ZUFFAITALIA

Il 7 agosto 2020 un D.p.c.m. ha rinnovato le limitazioni agli spostamenti delle persone da paese a paese, classificati a seconda del rischio. Per una nutrita pattuglia di stati vige il divieto di spostamento «da e per»: fra questi, Stati Uniti, Messico, Perù, in una parola quasi tutti quelli delle due Americhe.
Il divieto contempla poche e «comprovate» eccezioni, per lavoro, o studio, o salute.
O per rivedere i «familiari», identificati in discendenti, coniuge o partner di unione registrata. Se l’intento era di limitare il turismo, la conseguenza di una norma così estrema va ben al di là delle intenzioni di tutela sanitaria. Non sempre ci si sposta per svago, si viaggia anche per vedere le persone care, anche se non per legami di sangue o istituzionalizzati.
Dunque, cittadini e cittadine che non rientrano nel profilo «familiare» previsto dal decreto sono nell’impossibilità di coltivare relazioni (di tipo amicale o sentimentale) con cittadini e cittadini dei paesi colpiti dal bando.
Una situazione particolarmente stressante per le giovani coppie bi nazionali, che non solo vivono il dolore della separazione fisica, ma anche la difficoltà, se non l’impossibilità, di progettare il futuro. Forse è questo il danno più grave, l’incertezza cui si condannano questi giovani: a differenza dei primi tempi della pandemia, in cui l’eccezionalità delle misure si associava (nelle aspettative sociali) alla temporaneità, oggi sappiamo che il Covid 19 «is here to stay» (almeno due anni, ci dice l’Oms). Viviamo più nell’incertezza oggi di sei mesi fa.
Ragione in più, perché il governo sia attento a evitare regole irragionevoli e vessatorie. Andrea Pugiotto (Riformista, 21 agosto) si è appellato al ministro Speranza perché modifichi la norma e si allinei a molti altri paesi europei (dalla Francia, alla Germania, fino pochi giorni fa al Belgio e alla Spagna) nel rendere possibile il ricongiungimento di coppie bi nazionali unite da legame stabile debitamente attestato. Sulla stessa linea alcune interrogazioni presentate in Parlamento.
Il ministro ha la via spianata per rimediare, ci auguriamo che intervenga prontamente. Ma la questione particolare offre lo spunto per una riflessione più ampia sulla pandemia e su come governarla. Oggi è più chiaro di ieri che non ci sono solo i danni del Covid 19, ma anche gli «effetti indesiderati» e i rischi delle misure di contrasto, specie se di natura eccezionale, con forti limitazioni della libertà personale e di movimento. Le coppie di cittadinanza diversa di questa libertà sono figlie e di questa si nutrono. E proprio questa libertà (di muoversi, di lavorare e vivere in altri paesi, di fare esperienze, di amare) è parte importante del nostro benessere psicofisico.
Non ce lo dimentichiamo mai, quando parliamo di salute. Nel medio e lungo termine, la sfida sarà di coniugare la prevenzione dal contagio alla maggiore «normalità» possibile della nostra vita quotidiana, che sola può farci «star bene».
È giusto appellarsi alla responsabilità individuale nell’indossare la mascherina, nel sottoporsi a test e stare in quarantena se necessario; ed è giusto che le autorità controllino che le misure siano implementate. Ma altrettanta responsabilità va chiesta a chi ci governa.
Quando sento un presidente di regione minacciare il ripristino di barriere fra regione e regione d’Italia, penso non abbia ben chiaro quanto la libertà sia parte del «corpo vivente» della comunità e dei singoli e delle singole.
Non a caso, sotto il profilo etico, pur non escludendo misure eccezionali, si chiede ai governanti di rispettare criteri di proporzionalità e di limitazione nel tempo di tali misure. E insieme, di non creare nuove disuguaglianze: il caso delle coppie non istituzionalizzate insegni (cfr. Cnb, maggio 2020, http://bioetica.governo.it/italiano/documenti/pareri-e-risposte/covid-19-salute-pubblica-liberta-individuale-solidarieta-sociale/).

 

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