VISIONI

Mitologia oscura dell’outsider

Lo strano caso dell’eccentrico Eddie Edwards a Calgari 1988, raccontato nel film «Eddie the Eagle»
SILVIA NUGARAUSA

Venerdì 10 aprile 1896: la I Olimpiade moderna si conclude riproponendo nei luoghi stessi del mito la corsa da Maratona ad Atene che Filippide fece nel IV secolo a.C. per annunciare la vittoria contro i persiani e poi, pare, crollare a terra morto. Ed è qui che inizia la mitologia degli outsider che da allora accompagna ogni evento olimpico. Tra i concorrenti, infatti, c’è il poco più che ventenne Spiros o Spiridon Louis un agricoltore e portatore d’acqua greco che non ha mai praticato alcuno sport ma non si può dire non sia allenato: pur di non affaticare il suo mulo carico di otri, è abituato a corrergli accanto i chilometri tra il suo villaggio di Amarousio e la capitale. I favoriti sono ben altri, come l’australiano Edwin Flack, che si era aggiudicato l’oro negli 800 e nei 1500m, che pure era contabile e non aveva mai corso più di 10 miglia in una volta sola.
Nessuno aveva insomma nelle gambe la maratona, testé ideata da Michel Bréal, amico del barone de Coubertin, classicista e linguista di cui ancora oggi si studia l’Essai de sémantique. Così, alla partenza, i più si lanciano a tutta birra. Spiridon se ne sta nelle retrovie, lento ma costante. A metà percorso, mentre gli altri cadono disidratati ed esausti, si posiziona in testa. Da una collina presso il traguardo, alcuni messaggeri l’avvistano e corrono nello stadio urlando: «un greco, un greco!». La folla spera di salvare in extremis un orgoglio nazionale fino a quel punto ferito da risultati deludenti. Quando l’agricoltore fa il suo ingresso trionfale nell’arena, la Grecia può celebrare il suo agognato eroe olimpico. Al re che gli promette quel che vuole lui chiede solo un cavallo e un carretto per poter lavorare con meno fatica. E così sarà. Spiros non prenderà più parte a eventi sportivi tranne alle Olimpiadi del 1936, come ospite d’onore di Hitler.
DEL SUO EXPLOIT esistono versioni divergenti tra letteratura e cinema. Nel romanzo Spiridon Superstar (2016), lo scrittore Philippe Jaenada sostiene che il ragazzo corse per obbedire al colonnello Papadiamantopoulos che l’anno prima, durante il servizio militare, ne aveva notato le doti atletiche e poiché fu lui ad organizzare la maratona gli ordinò di partecipare alle eliminatorie. Il film Accadde in Atene (1962) di Andrew Marton inventa una versione aderente alla retorica del sogno americano. Il giovane non ha partecipato alle qualificazioni della corsa ma pur di risollevare le sorti di una Grecia messa male nel medagliere insiste per esservi ammesso e incassa il parere favorevole del rappresentante Usa presso il comitato olimpico: «nel nostro paese ci piace che chiunque abbia una chance». Il film è una pacchianata con la one hit wonder Trax Colton e Jayne Mansfield nei panni di un’attrice che promette di sposare il vincitore della corsa per poi lasciare che lui resti fedele alla fidanzata storica.
A QUELLA MARATONA avrebbe dovuto prendere parte anche Carlo Airoldi, giunto ad Atene da Milano dopo aver compiuto a piedi parte del viaggio. La fatica gli valse un invito a Palazzo reale dal Principe Costantino ma appena si seppe che aveva avuto un’esperienza da professionista, cosa all’epoca non permessa, gli fu impedito di gareggiare. Come dimostra il caso di Dorando Pietri, una squalifica (tanto più se dopo il traguardo) può portare la fama. Per la stessa ragione di Airoldi, fu penalizzato anche Jim Thorpe a cui Michael Curtiz dedicò Pelle di rame (1951) con Burt Lancaster. Il film narra ascesa e declino dell’atleta nativo americano che a Stoccolma 1912 conquistò due ori nel pentathlon e nel decathlon per poi vederseli ritirare con l’accusa di professionismo. Thorpe era povero e un’estate, mentre lavorava in una fattoria, aveva accettato di giocare a baseball in cambio di un compenso sufficiente a pagarsi vitto e alloggio. Curtiz racconta la sua storia come un melodramma sociale sullo sport che offre occasioni di riscatto ai reietti di buona volontà. Nato nella riserva dei Sac and Fox, il piccolo Wa Tho Huk (Sentiero Lucente) detto Jim ha una forza straordinaria: il giorno in cui il padre lo accompagna a scuola, «temibile istituzione dell’uomo bianco», fugge correndo tutte e dodici le miglia che lo separano da casa. Convinto dal genitore che la scuola è la sua sola speranza di futuro, Jim tiene duro fino alle superiori che frequenta presso un istituto riservato ai nativi, la Carlisle Indian Industrial School in Pennsylvania. Lì, mentre lui ancora cerca di capire cosa vuole fare nella vita, le sue capacità vengono notate dall’allenatore Glenn «Pop» Warner che lo introduce al football, vero focus del film. Il ragazzo colleziona vittorie e capisce di voler diventare lui stesso coach ma la strada è in salita a causa del razzismo.
SPRONATO dal buon mentore bianco Warner, Jim giunge fino alle Olimpiadi di Stoccolma, si sposa, inizia a giocare a football da professionista e viaggia per gli Usa seguendo gli ingaggi. A compromettere l’ascesa e la felicità del campione non è il ritiro delle medaglie bensì la morte del figlio Jr. Da quel momento, l’uomo affoga le sue angosce nell’alcool fino al divorzio (nella realtà ebbe molti figli e tre mogli), riducendosi a fare il fenomeno da baraccone alle feste di paese ed è allora che nella sua vita ricompare Pop Warner con due biglietti per assistere all’inaugurazione dei Giochi di Los Angeles 1932 dove prende parola il vicepresidente americano Charles Curtis, nativo anche lui. Jim tornerà a credere nelle proprie possibilità. Il film di Curtiz appare oggi denso di un’ipocrisia razziale a cui non poté ovviare la collaborazione di Thorpe stesso alla sceneggiatura di Russell Birdwell. Nel 1983, dopo la morte del presidente del Cio Avery Brundage che era stato suo avversario nel 1912, l’atleta fu riabilitato e una copia delle medaglie olimpiche consegnata alla famiglia.
Con la crescente mediatizzazione dei Giochi, la ribalta olimpica ha consentito anche di trasformare gli outsider in figure spendibili sul mercato della popolarità. Si pensi all’olimpiade invernale di Calgary 1988 a cui parteciparono sia Eddie Edwards, che rischiò di rompersi l’osso del collo dal trampolino dei 90m pur di rappresentare la Gran Bretagna nel salto con gli sci, sia i primi quattro olimpionici giamaicani a bordo di un bob.
NELLO SCANZONATO Eddie the Eagle (2016) si vede come il comitato olimpico abbia tentato di estromettere dall’evento un ragazzo eccentrico e proveniente dalle classi popolari, poi diventato idolo degli spettatori dei giochi canadesi. Pronti a tutto pur di gareggiare erano anche i giamaicani di cui il film Disney Quattro sotto zero (1993) ricostruisce l’impresa mostrando che tre di loro erano sprinter che non riuscirono a qualificarsi alle olimpiadi estive a causa di un inciampo. E ripiegarono così su una disciplina improbabile per un paese dove non cade mai la neve. I ragazzi si mettono sulle tracce di un ex campione radiato per frode perché è l’unico in Giamaica che potrebbe allenarli e si ritrovano di fronte a un personaggio tanto esilarante quanto dolente, perfetto per l’interprete John Candy. Anche Eddie the eagle ha il suo coach complessato, un Hugh Jackman spaccone e alcolista che ritrova la vocazione grazie al giovane protetto. Dopo Calgary, per i simpatici outsider il passo dallo sport agli spot fu breve. Nato sotto il segno della classicità, l’evento olimpico moderno è entrato nel corso della storia, e con il contributo fondamentale di televisione e cinema, nell’impero dei segni passando così dal mito alle Mythologies popolari.

3.continua

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