VISIONI

Groupe RTD, i diavoli danzanti di Gibuti fra ritmi suoni e storie di resistenza

ESCE L’ALBUM DELL’ENSEMBLE SOMALO
GIANLUCA DIANAsomalia

Occorre avere consapevolezza dei propri mezzi ed anche un pizzico di allegra sfacciataggine nell’aggiungere al proprio nome e cognome la parola «Alto», sopratutto se si suona il sassofono di mestiere. Il suo nome completo è per l’appunto, Mohamed Abdi Alto, e quando soffia nelle ance fa capire immediatamente di essere un numero uno. Alle spalle ha una biografia di tutto rispetto che lo vede da giovane incrociare le principali stelle dell’ethio-jazz e poi successivamente divenire egli stesso un riferimento dell’effervescente mondo musicale somalo degli anni Settanta. È lui a guidare la formazione Groupe RTD, acronimo di Radiodiffusion-Télévision Djibouti, che si presenta al mondo con un disco - di sorprendente bellezza: The dancing devils of Djibouti
I FATTI raccontano che Vik Sohonie, direttore dell’etichetta Ostinato Records, mentre nel 2016 era impegnato a scartabellare i polverosi archivi delle registrazioni presenti nella radio nazionale di Gibuti, incappa in una sessione prove del Groupe nello studio adiacente, rimanendone profondamente colpito. L’orchestra composta dai nove elementi produce un suono esaltante, in bilico tra gli stili vocali dell’Indian Bollywood, melodie tradizionali ed influenze che vanno dal reggae-dub al jazz di Addis Abeba. La bellezza di quanto ascoltato induce quindi Sohonie ad un cambio di registro sostanziale nelle attività produttive della label, che con questo disco arriva per la prima volta ad una pubblicazione di materiale contemporaneo, divenendo al contempo il primo partner straniero a cui è permesso portare la musica fuori dal paese. Il Groupe, messo assieme tempo addietro dal direttore artistico della radio di stato, rappresenta la punta dell’iceberg di una corposa e prolifica attività musicale sconosciuta fuori dai confini territoriali a seguito del pluriennale autoisolamento imposto dal governo. Un ensemble in perfetto equilibro grazie alla presenza sia di musicisti di lungo corso che di talenti emergenti.
DALLA VECCHIA scuola arrivano il chitarrista Abdirazak Hagi «Kaajaa» Sufi, leggenda musicale di Mogadiscio sin dai ’70, e l’altrettanto esperto batterista Omar Farah, a cui si aggiungono musicisti più giovani di valore, incluse le due voci della cantante Asma Omar e di Hassan Omar Houssein, il principale cantante della band, che così racconta i propri inizi: «Vengo dalla regione di Ali Sabieh, da una famiglia con una tradizione musicale di lungo corso. Ho iniziato a cantare da giovane, facendo il mio esordio sul palco a diciotto anni, nel 1998». Dal 2019 è coinvolto nel Groupe: «Con loro facciamo musica di ispirazione tradizionale e ho la fortuna di suonare con nomi leggendari come quelli di Alto, Kaajaa e Farah». Che sia accesa la scintilla tra Houssein e i suoi maestri, lo dimostra l’ipnosi afrofunk di I Want You, le reminiscenze afrobeat di That’s Where You’ll Leave His Reward ed il ritorno sui ritmi in levare di Joy.
Il tutto profondamente immerso nella tradizione locale, che emerge totalmente nel brano di chiusura The Jumping Man, propone una affascinante ed evocativa melodia del 1500, dietro cui si cela una storia di resistenza al colonialismo europeo, trattandosi di un canto di battaglia che l’etnia autoctona di Gibuti, gli Issa, rivolgeva contro le navi portoghesi che guidate da Vasco De Gama davano l’assalto alla costa della loro terra.

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