COMMENTO

La gerontocrazia dem mantiene saldo il potere

Strategie elettorali
FABRIZIO TONELLOusa

Non occorre andare più in là delle foto dei principali oratori della convenzione democratica dell’altroieri per capire in quale direzione si stanno muovendo le cose: la giornata di martedì è stata dominata da Colin Powell (83 anni), John Kerry (76 anni), Bill Clinton (74 anni) e Hillary Clinton (72), tutti entusiasti nel loro apprezzamento del candidato di quest’anno Joe Biden (77) anni. La gerontocrazia dem è saldamente al potere e non intende cederne un metro: Alexandria Ocasio-Cortez, la star della sinistra (30 anni) ha avuto 97 secondi per il suo discorso.
Non è però un problema generazionale ma di linea politica: Biden ha rifiutato di impegnarsi su tutte le questioni sollevate da Bernie Sanders e Ocasio-Cortez: sistema sanitario nazionale, Green New Deal, drastiche riforme dei dipartimenti di polizia razzisti e violenti.
Ha scelto come vice Kamala Harris, che è in parte afroamericana ma è un ex procuratore generale della California che ha fatto la sua parte nella dissennata politica di incarcerazione di massa anche per reati minori iniziata negli anni ’80 e proseguita fino ad oggi.
Esattamente la politica contro cui hanno manifestato per settimane i giovani di Black Lives Matter.
La giustificazione? Corteggiare gli elettori incerti, gli indipendenti e gli ex repubblicani, insomma la collaudata ricetta per «vincere al centro».
I sondaggi sembrano, in queste settimane, dare ragione a Biden e ai suoi consulenti: gli esperti calcolano le probabilità di vittoria dei democratici fra il 70% e l’85% ma è un’ottimismo illusorio.
Prima di tutto si sa - è una legge bronzea delle elezioni americane - che i margini fra i due candidati si restringono fortemente con l’avvicinarsi del voto: nell’estate 1976 Jimmy Carter aveva 26 punti di vantaggio sul presidente uscente Gerald Ford, nei risultati effettivi il margine si ridusse al 2%. Nel 2016 Hillary Clinton era data vincente da tutti i sondaggisti, alla fine Trump vinse, sia pure grazie al perverso meccanismo del collegio elettorale. In secondo luogo le elezioni americane sono caratterizzate da una bassa partecipazione al voto: al meglio il 60% degli aventi diritto. Questo significa che la strategia per vincere è mobilitare la propria base, non cercare di conquistare i voti degli incerti, o degli ex elettori avversari delusi. Quindi la parata di ex repubblicani che abbiamo visto in questi giorni (Colin Powell, segretario di Stato con Bush jr., John Kasich, ex governatore dell’Ohio) è perfettamente inutile: i due blocchi contrapposti di elettori sono quasi impermeabili alle sirene del partito avversario.
Il problema sarà portare al voto i giovani, gli ispanici, i poveri, le donne lavoratrici con figli.
Tutte categorie che quest’anno hanno bisogno non solo di essere motivate da un candidato carismatico e da prospettive di cambiamento per le loro vite ma anche di essere convinte a recarsi ai seggi nonostante il Covid-19. Nonostante il fatto che le sezioni elettorali siano poche e che attese di ore per entrare in cabina siano normali.
Nonostante il fatto che l’amministrazione Trump sta facendo di tutto per sabotare il voto per posta, restringendone la disponibilità in molti stati e addirittura minacciando di non consegnare le schede che non siano spedite con grande anticipo rispetto alla data del 3 novembre.
Il Postmaster General nominato da Trump ha fatto una precipitosa marcia indietro di fronte alla minaccia di essere denunciato per il sabotaggio del grande rito democratico delle presidenziali ma le cose non sono affatto risolte.
È molto probabile che la notte del 3 novembre milioni di voti debbano ancora essere contati, che ci siano contestazioni legali in tutti gli stati chiave come Ohio, Florida, Pennsylvania, Wisconsin e che Trump si autoproclami vincitore gettando il paese in una crisi costituzionale senza precedenti.
Come si sa, Trump ha ripetutamente affermato che «si riserva» il diritto di accettare o no i risultati che verranno proclamati, una dichiarazione palesemente eversiva.
Viene da chiedersi se, nella battaglia senza esclusioni di colpi che si svolgerà nei prossimi due mesi e mezzo, i vecchietti alla testa del partito democratico siano davvero i più adatti per mettere fine all’era Trump. Incrociamo le dita.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it