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Elezioni e referendum, maledetta par condicio

Ri-mediamo
VINCENZO VITAITALIA

La par condicio è partita, con il suo implacabile calendario. Il 18 luglio scorso fu pubblicato nella Gazzetta ufficiale il decreto del Presidente della Repubblica di convocazione del referendum sul taglio dei parlamentari. Il 20 e il 22 luglio l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e la Commissione parlamentare di vigilanza hanno varato i regolamenti di competenza, in attuazione delle disposizioni della legge n.28 del 2000. Il prossimo venerdì 29 scadranno i termini per la costituzione dei comitati e per le manifestazioni di interesse alle apposite trasmissioni radiotelevisive.
Eccoci, dunque, nel pieno di una particolare e assai anomala par condicio. Manca, infatti, il presupposto essenziale per esercitare le eguali opportunità di rappresentazione, vale a dire la conoscenza diffusa di una così delicata scadenza. Ancora ignota alla grande parte della popolazione con diritto di voto. Di tale vulnus giustamente radio radicale sta facendo un tormentone quotidiano. E speriamo che se ne voglia tener conto, programmando subito specifiche trasmissioni in cui si spieghino i termini del quesito e le sue implicazioni, l’effettivo risparmio di un taglio siffatto (i maligni sostengono che si tratti del costo di una tazza di caffè all’anno a persona) e gli assetti degli altri paesi. A mo’ di un Superquark di Piero ed Alberto Angela. Non per caso, l’Agcom con delibera del 22 luglio ha emanato un atto di indirizzo volto a sollecitare in tal senso le emittenti. E una rilevante sottolineatura dell’obbligo della parità di accesso per non creare posizioni di svantaggio è venuta dall’approvazione del comma 2 dell’art.1-bis della legge n.59 del giugno del 2020. Stranamente, di quest’ultima recentissima norma rafforzativa non c’è traccia nelle fonti richiamate dai regolamenti in vigore.
Tuttavia, c’è un problema grosso come una casa sulla già perigliosa strada della par condicio. L’Agcom, cui spettano importanti compiti di monitoraggio, verifica ed eventuale sanzione, viaggia in una curiosa terra di nessuno. Il vecchio consiglio è scaduto e il nuovo deve essere completato, con l’indicazione (e il successivo gradimento da parte delle commissioni parlamentari) del presidente. Dunque, chi sorveglierà il settore in merito ad adempimenti che via via diventano a maglie strettissime? O, tanto per cambiare, la vacatio sarà un alibi perfetto? Certamente, l’amministrazione non ammette vuoti. Ma un consiglio prorogato da oltre un anno e sostituito dalle camere riuscirà ad esprimere il rigore necessario?
Non solo. Verrà data attuazione finalmente alle «Linee guida» per le piattaforme online definite dall’Agcom in vista delle elezioni politiche del 2018? Sarebbe il minimo. La trasparenza dei messaggi pubblicitari, il divieto di divulgazione dei sondaggi nei quindici giorni finali (anche sotto specie di conclavi papali o di corse di cavalli), il silenzio elettorale e le regole per la comunicazione istituzionali vanno applicati anche ai social.
Altrimenti, la gara è viziata a vantaggio di chi ha risorse, accordi palesi o segreti con qualche società che lavora sui nostri profili digitali, e così via.
Gli organi del Consiglio d’Europa (assemblea parlamentare, comitato dei ministri, commissione di Venezia per la democrazia attraverso il diritto) hanno raccomandato sin dal 2017 l’attenzione anche ai servizi non lineari. In Spagna e in Francia tutto ciò è in vigore, come parzialmente in Gran Bretagna. Attorno al prossimo 10 di agosto potrebbero iniziare le tribune elettorali. Che si evitino versioni riduttive o burocratiche di un format che, debitamente ripensato, evoca una storia gloriosa. Perché non ridare vita a tribune autorevoli e collocate in spazi adeguati?
PS. Autocritica. Nella passata rubrica si era scritto che il 27 di luglio sarebbe iniziato il dibattito nell’aula della camera sulle proposte in merito al conflitto di interessi. Non è avvenuto, e chissà se e quando l’ordine del giorno lo prevederà. Ci si era illusi, dando credito a notizie pur serie e dettagliate. Accidenti, però. Silvio Berlusconi può stare al governo, all’opposizione, a metà strada, al mare o in città: ma la scampa sempre. Chapeau. 

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