VISIONI

«Transfert per Kamera», lo sguardo del cinema sulla vertigine della scena

I PROGETTI DI CHIARA CATERINA E RICCARDO GIACCONI
SILVIA NUGARAITALIA/MILANO

Con le ultime performance al Santarcangelo Festival, si sono concluse le riprese del progetto Transfert per Kamera ideato con Filmmaker Festival di Milano, che ha abbinato 5 giovani autori a uno degli spettacoli in programma perché attraversassero e registrassero con il loro sguardo il lavoro sulla scena. Abbiamo già dialogato con Maria Giovanna Cicciari, Enrico Maisto e Leandro Picarella. Tocca ora ai loro colleghi, Chiara Caterina e Riccardo Giacconi. Caterina si è confrontata con Sorry, But I Feel Slightly Disidentified… di Benjamin Kahn che ha creato una performance ad hoc per Cherish Menzo, primo capitolo di una trilogia sul corpo e gli stereotipi razziali: «Dato il tema, ho amato il fatto che la performance fosse costruita su andate e ritorni, furia e dolcezza, in un continuo montaggio e smontaggio, vestizione e svestizione: la battaglia di costruzione e smantellamento perpetuo dell’identità individuale e collettiva», spiega la regista che aggiunge: «Mi hanno colpito subito la potenza di Menzo, la precisione e la meticolosità del gesto coreografico. La combinazione di questi due elementi crea una tensione, una frizione. Attraverso il movimento di un dito della mano, l’angolo di torsione del busto o il muscolo della spalla è come se lei riempisse lo spazio che sta tra il controllo millimetrico e una deflagrazione imminente».
IL GESTO e la sua scomposizione hanno assunto un ruolo chiave nel modo in cui Caterina ha filmato: «Penso alla macchina da presa come a uno strumento tecnico per ‘potenziare’ occhi e orecchie dello spettatore. Ho dunque provato a ‘dissezionare’ il gesto coreografico per trovare l’essenza del movimento, che nel cinema è il tempo. Ho filmato una gran parte della performance in super slow motion per tentare di vedere quello che nella nostra percezione organica del tempo non riusciamo a vedere. Tendo ad associare lo slow motion a un immaginario pubblicitario, scientifico o da videoclip ma avere la possibilità di cambiare prospettiva è stato bello anche se non semplice: nel momento in cui davo il rec, quello che vedevo era molto in ritardo rispetto alla velocità dei movimenti sul palco. C’erano quindi dei vuoti, un buio, una sorta di vertigine data dallo sfasamento temporale».
PER TRADURRE filmicamente l’arte della scena, c’è anche chi ha isolato il suono come elemento precipuo di una sintassi da ricomporre. Riccardo Giacconi ha seguito Se respira en el jardín como en un bosque di El Conde de Torrefiel, opera sulla necessità di ascoltare la realtà per comprenderla e costruirla: «Non si può definire uno spettacolo, ma un’esperienza concepita per due persone: una entra in scena e riceve delle cuffie da cui vengono date istruzioni per compiere dei gesti semplici, l’altra la osserva dalla platea. Una volta compiuta la sequenza di gesti, ci si scambia di posto. Nel mio film non volevo far ascoltare l’audio diffuso in cuffia ma il suono che le azioni delle persone producevano, tanto più che queste implicavano la manipolazione di carta stagnola con effetti interessanti. Per esempio, ho seguito una persona che crea una sorta di palla di alluminio e poi si mette a correre intorno allo spazio teatrale», ha spiegato il regista nel cui lavoro il sonoro è fondamentale così come la disponibilità ad affrontare l’imprevisto: «Questa volta più che accogliere l’imprevisto è stata la troupe a rappresentare un imprevisto rispetto all’opera teatrale. Con camera e microfono siamo intervenuti nell’esperienza, cambiando la relazione tra le persone in scena». Il 25 luglio, Fuori Orario trasmetterà uno speciale dedicato al progetto Transfert per Kamera.

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