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Orteguisti al tempo del Covid

GIANNI BERETTANicaragua/managua

Ha dovuto arrendersi all’evidenza la dispotica coppia presidenziale di fronte all’espandersi incontrollato del virus in Nicaragua, definito dalla rivista scientifica britannica Lancet «il paese che peggio ha gestito la pandemia nel mondo». E così Rosario Murillo, consorte del "fu" comandante guerrigliero Daniel Ortega, nonché sua vice, si è rassegnata ad annunciare «celebrazioni virtuali» dell’anniversario della rivoluzione sandinista del ‘79, evitando la manifestazione di piazza per il 19 luglio.
E DIRE CHE DA METÀ MARZO, dopo il primo contagio ufficiale, adunate e festeggiamenti sono stati promossi in controtendenza in tutto il paese proprio dalla (di fatto) capo di governo all’insegna del «dio ci protegge», «il caldo uccide il virus»… Come il raduno del Amor en el tiempo de Covid 19, una sorta di affollato corteo carnevalesco, con tutti a braccetto senza mascherine: sfidando ogni misura di distanziamento, quarantena, chiusura delle frontiere.
Precauzioni che a tutt’oggi non sono mai state adottate dalle autorità. Al contrario, si è fatto di tutto per negare la presenza del virus; persino con l’invito a riversarsi in massa sulle spiagge del Pacifico per le vacanze di Pasqua e convocando il concorso di Miss Estate. Le faceva eco il 15 aprile il marito-presidente Ortega (rintanato nel suo bunker del quartiere El Carmen di Managua) in una delle rarissime apparizioni televisive di questi mesi: «Il virus va lento in Nicaragua grazie alla nostra politica di salute comunitaria»; e, riferendosi messianicamente al riarmo internazionale: «Il virus è un segnale di dio per farci cambiare strada». O ancora, nell’appello per il primo maggio: «Non state a casa». Fino ad arrivare alla festa della madre, celebrata da Murillo con lo slogan «Nicaragua libre de Covid 19».
Così che al 6 maggio le autorità sanitarie avevano denunciato appena una ventina di casi, nel mezzo di un istmo centroamericano già abbondantemente infettato. Tanto da costringere l’Organizzazione mondiale della sanità a dichiarare «indeterminata» la situazione del coronavirus in Nicaragua per «mancanza d’informazioni».
A QUEL PUNTO LA POPOLAZIONE, di fronte all’inesorabile moltiplicarsi delle vittime (con la dicitura «polmonite atipica», molte delle quali trasportate la notte clandestinamente dagli ospedali ai cimiteri) e all’allarme dell’Oms per il galoppare del contagio nelle Americhe; oltre che incoraggiata dalle prese di posizione dei virologi e delle associazioni mediche locali, ha deciso di prendere da sola le proprie misure di protezione: tenendo a casa i figli dalle scuole pubbliche (mentre le private avevano chiuso e iniziato le lezioni digitali); a rarefare le uscite da casa e disertare bar e locali notturni (tuttora aperti) nonché gli stadi di baseball (e di calcio) i cui campionati sono continuati imperterriti. Per indossare infine le tanto sbeffeggiate mascherine (proibite negli stessi ospedali). Mentre le chiese, seguendo l’invito di papa Francesco, sospendevano messe e processioni. E le imprese private cominciavano ad adottare misure di distanziamento interne.
LA REAZIONE DEL GOVERNO è stata di licenziare (o costringere alle dimissioni) decine fra medici e infermieri del servizio pubblico colpevoli di allarmismo. Del resto allo stesso modo avevano cacciato altrettante decine di sanitari durante la rivolta popolare dell’aprile 2018, rei di aver curato nei pronto soccorso i manifestanti feriti da polizia e paramilitari, disobbedendo ai diktat del ministero della Sanità.
Certo in un paese come il Nicaragua (il secondo o terzo più povero del subcontinente dopo Haiti e forse Honduras) dove il 70% dell’economia è ancora informale e una buona parte della popolazione lavora per mangiare il giorno stesso, eventuali misure come il cosiddetto lockdown sarebbero assai poco praticabili. Ma a che pro sacrificare ogni tipo di prevenzione, anche la meno indolore e costosa come il distanziamento, all’unica preoccupazione dell’orteguismo di non pregiudicare ulteriormente un’economia già in ginocchio per la paralisi insurrezionale di due anni prima? Anzi addossando proprio ai presunti golpisti di quell’aprile di avere sparso il panico della pandemia?
Sta di fatto che il contagio è comunque esploso esponenzialmente; e a oggi se le cifre ufficiali ammettono 3.147 contagi e 99 vittime (infinitamente inferiori rispetto ai dati del resto della regione, dunque non credibili) quelle dell’indipendente Osservatorio Civico Covid 19, indicano che dal 18 marzo sarebbero 2.092 le morti «sospette» (su poco più di 6 milioni di abitanti).
Paradosso vuole che per giustificare tanta inazione Rosario Murillo si sia infine avventurata a riferirsi (coprendosi di ridicolo) al «modello svedese» adottato dal Nicaragua per «una salute pubblica in un’economia sana».
DEL RESTO IL VIRUS non poteva più essere ignorato dal regime visto che cominciava a mietere vittime anche tra le sue stesse fila: il ministro delle Poste, il sindaco di Masaya e alcuni deputati e funzionari orteguisti. Fino alla beffarda scomparsa per Covid 19 (il 16 giugno scorso) di Eden Pastora, il mitico Comandante Zero, unico esponente conosciuto in Europa all’epoca del trionfo sandinista per il suo assalto al parlamento durante la dittatura somozista. Che succesivamente aveva abbandonato il governo rivoluzionario per passare con i contras. E da ultimo era tornato al fianco di Ortega nuovamente presidente dal 2007. Pastora, un tempo capo delle milizie popolari sandiniste, si è distinto per aver diretto i gruppi paramilitari che hanno massacrato i giovani manifestanti nel 2018, con un saldo di almeno 350 morti e migliaia di feriti nell’arco di tre mesi.
Si è così prodotto un malumore anche all’interno di ciò che è rimasto del Fronte sandinista, soprattutto nei confronti di Rosario Murillo. Mentre l’isolamento internazionale è cresciuto anche per le sanzioni ad personam a 21 esponenti del clan degli Ortega i cui conti e averi sono stati bloccati negli Usa e in Europa. Così come l’incaricata della Commissione per i Diritti umani dell’Onu, Michelle Bachelet, ha denunciato le persistenti violazioni in quello che di fatto si è convertito in uno stato di polizia permanente; con ancora un centinaio di detenuti politici e ben 103 mila esuli politici certificati dall’agenzia Onu per i rifugiati.
C’È CHI PARLA DI RISCHIO di implosione dell’orteguismo. Ma un sondaggio della Cid-Gallup (in vista delle elezioni del prossimo anno) attribuisce ancora il 23% dei consensi a Ortega, primo partito. Mentre i tre quarti restanti, critici del regime, non hanno riferimenti politici precisi o si distribuiscono fra minuscoli e litigiosi partiti del passato che (anche per la storica abilità divisionista di Ortega) non sono mai riusciti a formare un fronte compatto e credibile. Anche se è in corso un tentativo di Coalizione nazionale post sollevazione popolare che comprende la società civile. Solo che i giovani leaders di quella rivolta o sono in carcere o sono stati costretti a riparare nel vicino Costarica.
Quello che è certo è che la pessima gestione dell’emergenza ha azzerato quel poco di buono che rimaneva del servizio sanitario generale gratuito ripescato dai tempi della rivoluzione. Generando un mix di rabbia e impotenza.

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