Che cosa significa oggi studiare la storia d’Italia? Si tratta di una domanda apparentemente banale, tutti noi ricordiamo gli eventi salienti di quel passato nazionale che abbiamo appreso sui manuali scolastici, dai comuni medievali fino alla fondazione della Repubblica. In realtà – come spiegano autori e curatori del volume L’Italia come storia. Primato, decadenza, eccezione (Viella, pp. 420, euro 32) – la questione è assai più complessa, anche se affrontata dal punto di vista degli «addetti ai lavori», ovvero di coloro che svolgono le ricerche storiche sulla base delle quali dovrebbero poi essere redatti i manuali.
Nella lunga introduzione, che intende offrire una cornice coerente all’insieme di contributi raccolti in quest’opera collettanea, Francesco Benigno e Igor Mineo osservano che il modo di guardare alla storia d’Italia è mutato significativamente a partire dalla fine degli anni ottanta del Novecento, per ragioni che si collocano all’incrocio fra gli orientamenti della storiografia e i mutamenti dell’ordine internazionale. La fine della guerra fredda, l’accelerazione del processo di integrazione europea, l’affermarsi della storia globale e transnazionale: tutti questi fattori hanno cambiato profondamente le ricerche sul passato.
CIÒ NON È AVVENUTO soltanto nell’ambito degli studi sull’Italia, anzi, nel dibattito internazionale si tende ormai a parlare di una storiografia «post-guerra fredda» che ha sviluppato nuove proposte metodologiche e battuto differenti terreni di indagine, mettendo in discussione le passate gerarchie di rilevanza. I saggi contenuti nel volume pubblicato da Viella si concentrano sulle ricerche relative all’Italia, prendono in esame alcuni aspetti (la chiesa, lo stato, la lingua e la letteratura) o momenti della storia nazionale (il Risorgimento, il fascismo) e nell’insieme restituiscono un quadro articolato della storiografia, prima e dopo la discontinuità rappresentata dall’89.
Secondo Benigno e Mineo, nell’ambito degli studi sull’Italia si sarebbe consumato in maniera particolarmente netta l’abbandono del «canone nazionale» intorno al quale aveva preso forma il racconto storico nel periodo compreso fra il secondo dopoguerra e la fine della guerra fredda. Con la definizione «canone nazionale» i due studiosi fanno riferimento a «un sistema di rappresentazione della storia di un determinato stato-nazione (o di una determinata nazione destinata a farsi stato) che abbraccia una prospettiva di lungo periodo». L’analisi di questo «sistema di rappresentazione» costituisce uno dei fulcri del volume, che riflette sulla tendenza degli studi a costruire intorno ad alcuni caratteri considerati distintivi l’idea di una eccezionalità della storia italiana e (dunque) dell’Italia come paese.
Alcuni degli esempi intorno ai quali si snoda la riflessione sul presunto «eccezionalismo italiano» sono particolarmente interessanti perché sollevano questioni che travalicano la dimensione storiografica, per rimandare anche alla circolazione in senso più ampio di pregiudizi, convinzioni e stereotipi di lunga durata.
È IL CASO di quell’intreccio fra «dualismo e territorialità» che ha determinato la contrapposizione rigida fra nord e sud, strettamente connessa alla contrapposizione fra città e campagna. I termini di questa doppia visione dicotomica possono essere facilmente immaginati anche da chi non ha familiarità con quegli studi che – direttamente o indirettamente – hanno finito per accreditarla: un’Italia meridionale prigioniera dell’immobilismo e dell’arretratezza, nonché del familismo e della corruzione politica, a traino di un un’Italia settentrionale dinamica, pronta inserirsi nel processo di modernizzazione, fucina della classe dirigente del paese. Numerose ricerche hanno da tempo decostruito questa lettura dualistica, per restituire un’immagine assai più mobile, articolata e complessa. Tuttavia la tentazione di riproporla – più o meno surrettiziamente – finisce non di rado per avere la meglio, grazie alla potenza semplificatrice (ma contemporaneamente mistificatrice) delle interpretazioni dicotomiche.
Queste considerazioni, che pure riguardano la storiografia, ci esortano a riflettere sulla persistenza del riferimento ai caratteri immutabili della realtà italiana anche nel discorso pubblico. Molti esempi potrebbero essere rintracciati guardando a questi ultimi mesi, segnati dall’esperienza della pandemia. Nel periodo dell’emergenza e dell’isolamento si è sviluppato un discorso pubblico gravido di contraddizioni, che da un lato ha fatto appello all’unità nazionale (le bandiere tricolore alle finestre) come strumento di coesione necessario a superare la difficile prova a cui era sottoposto il paese.
DALL’ALTRO i commenti sull’incidenza del virus e sui divieti di circolazione delle persone hanno insistito sulla presenza di confini interni alla penisola, riproponendo anche l’immagine di un nord e di un sud separati e contrapposti, ovvero di due paesi, uno dei quali doveva difendersi dall’altro. Dunque questo volume che si interroga sui modi in cui la storia d’Italia può essere pensata e scritta, ci ricorda che l’analisi del passato ci offre chiavi di lettura utili per guardare al presente.