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Idrogeno e gas, incompatibili per un futuro verde

Strategia europea
MONICA FRASSONIeuropa

La presentazione la settimana scorsa da parte della «Commissione della Strategia europea sull’idrogeno» è stata accompagnata da molto entusiasmo un po’ dappertutto e naturalmente anche in Italia.

L’idrogeno è un vettore nel senso che per agire deve essere "spinto" da qualcosa. Per adesso questo "qualcosa" è al 95% rappresentato da energia da fonti fossili: l’idrogeno sarà anche «emissions-free», ma per produrlo si continuano ad emettere gas climalteranti. Quindi, se si volesse davvero spingere l’idrogeno bisognerebbe "azionarlo" con energie rinnovabili; e invece il potente settore dell’industria energivora e fossile ha visto nell’idrogeno detto «blu» una chance di sopravvivenza per il gas naturale come fonte di "transizione" e per i suoi gasdotti.

E cosi ha scritto alla Commissione una bella letterina (erano in 33 con l’Eni in testa) dicendo che la cosa giusta da fare è mettere sullo stesso piano tutti modi di produzione «pulita» di idrogeno, allargando di molto il concetto di "pulito" fino ad includere, oltre l’elettrolisi, anche la pirolisi di metano e il gas naturale ripulito con tecnologie di "cattura" del carbonio; sorvolando sul fatto che queste ultime sono ancora lontanissime da potere essere sfruttate commercialmente, a causa dei loro costi, ma anche del fatto che non si sa bene dove si potrebbe mettere tutta quella Co2 sottoterra senza correre il rischio che rispunti fuori. Intendiamoci: l’idrogeno verde è da favorire senza indugio: alcuni settori, come l’aviazione, il trasporto marittimo, l’acciaio, la chimica sono ancora difficili da elettrificare, cioè da "nutrire" con solare, eolico o idroelettrico. Si può aumentare anche la capacità di risparmiare energia in questi settori, ma non sarà sufficiente. Il punto però è che molti di coloro che spingono sull’idrogeno blu si vorrebbero "allargare" anche ad altri settori come i trasporti o gli edifici, mettendosi in diretta concorrenza con il processo di elettrificazione che si basa sulle rinnovabili e su una applicazione spinta del principio «prima l’efficienza energetica».

E cosi, non è un caso che Enel abbia contribuito ad organizzare un’altra "alleanza" scrivendo un’altra lettera alla Commissione, con imprese che producono rinnovabili e altre utilities, spingendo invece su elettrificazione e su idrogeno esclusivamente verde sui settori «hard to abate».
Come ben spiega Gianni Silvestrini in un articolo quella sull’idrogeno è dunque anche «una battaglia tra il mondo elettrico (e dell’idrogeno verde) e quello del gas».
In Italia, il vantaggio pare per ora andare al secondo, dato che il nostro Paese intrattiene con il gas una relazione quasi amorosa, spinta da sempre da Eni, dalle imprese energivore che controllano Confindustria e hanno una solida presa sulla amministrazione del Mise e su ministri di qualsiasi colore, compresi Di Maio e Patuanelli e può contare su un sostegno politico trasversale.

Ma qui dobbiamo essere chiari: se abbiamo solo 10 anni per diventare un continente a emissioni zero nel 2050, è evidente che tutte le risorse pubbliche a disposizione e molte di quelle private devono andare a finanziare rinnovabili ed efficienza energetica; perché spendere miliardi per capire come "ripulire" gas e petrolio o costruire nuovi gasdotti, quando i balzi in avanti di rinnovabili ed efficienza energetica ci permetterebbero di farne a meno più velocemente? Perché fare durare artificialmente una "transizione" che è in realtà un alibi per non cambiare?
Il rischio delle aperture al gas contenute nella Strategia sull’idrogeno, ma anche della discussione su come usare i fondi del Recovery Fund e dei piani su Energia e Clima nazionali è dunque quello di una grande operazione di distrazione di massa. Se vogliamo davvero realizzare un piano adatto per la «Next Generation» non possiamo sbagliarci. Verde e pulito devono diventare sinonimi e la fine della nostra dipendenza dai fossili organizzata in tempi utili. Senza se e senza ma.

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