CULTURA

Nell'arcipelago innocente e insidioso del linguaggio

Un volume edito da Blonk, a cura di Anna Lisa Somma e Gabriele Maestri ne indaga l’attualità trent’anni dopo
ALESSANDRA PIGLIARUITALIA

Correva l’anno 1987 quando comparve Il sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini, con la collaborazione di Marcella Mariani e la partecipazione alla ricerca di Edda Billi e Alda Santangelo. Testo di riferimento e pietra angolare, continua a restituire la tempra politica non solo della sua indimenticabile autrice, linguista, femminista e anglista, bensì di un clima maturo nei riguardi dell’argomento che quel momento storico richiedeva fosse analizzato anche istituzionalmente.
Edito per iniziativa della presidenza del Consiglio dei Ministri e della Commissione nazionale della parità tra uomo e donna, nella coda degli anni Ottanta il terreno era stato già ampiamente disossato dal movimento delle donne e dal femminismo e anche Alma Sabatini, e chi aveva lavorato con lei alla stesura, era parte di un processo simbolico e materiale in cui la ricerca sul campo era provvista di una riflessione teorica ed esperienziale di collettivi, centri di studi e ricerca, librerie e soprattutto confronti in presenza; non ultimo, vi era anche il vivace dibattito internazionale che la stessa Sabatini frequentava con agio nella sua vasta letteratura. Nonostante il tempo trascorso, resta una ricerca feconda e dal basso, nella spinta propulsiva che sono stati il femminismo e la politica delle donne.
ESPERIMENTO prezioso leggere quel testo e analizzarlo (si può consultare integralmente in rete) per farlo reagire al presente, nelle scuole e nei luoghi di lavoro, per avere contezza di quanto impegno vi sia stato negli anni precedenti da parte di chi lo ha redatto, di come sia ancora un punto cruciale della discussione attorno al linguaggio. Fin dalle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (del 1986 e poi comprese nel testo finale del 1987, ripubblicato nel 1993 con una efficace presentazione di Tina Anselmi), l’attualità è notevole; segnala lo spaccato sociale di una parte consistente della cultura materiale italiana applicata non esattamente al «genere» quanto piuttosto alla nominazione sessuata del mondo; dagli annunci di lavoro ai titoli e sommari dei maggiori quotidiani mainstream dell’epoca fino ad arrivare alla didattica, gli usi del linguaggio inficiano e traducono la realtà rappresentandola astratta e disabitata di corpi come essa non è. Non sono sbadataggini innocenti, quanto piuttosto il segno di un rifiuto reazionario a non voler assumere la differenza sessuale né l’ampio lessico offerto dalla declinazione sessuata della lingua.
ALLA FINE degli anni Ottanta diverse erano le occorrenze in cui si riverberava (per esempio nella carta stampata) il modificante «donna» a professioni o ruoli perlopiù apicali, oppure diminuendone il rilievo con sotterfugi confidenziali; capitava di leggere «donna-magistrato», «donna-parlamentare» ma anche «la Thatcher» o «Indira» - privata del cognome - e via discorrendo, è pur vero che qualche residuo permane ancora oggi nella ilarità dell’accoglienza di «sindaca» o ancora «ministra», «direttora» o «architetta» ma anche nel far comprendere che il termine «uomo» non è sineddoche dell’intera umanità. Sempre meno, sia chiaro, grazie a un passaggio più profondo che ha lavorato carsicamente sul simbolico collettivo ormai ineludibile. Anche di questo parla Il sessismo nella lingua italiana. Trent’anni dopo Alma Sabatini, a cura di Anna Lisa Somma e Gabriele Maestri, che viene pubblicato adesso per Blonk (pp. 254, euro 16) un volume importante che rammenta quanta strada sia stata percorsa con l’impegno di chi ha animato i territori rendendoli presidi di lavoro capillare e quotidiano, esplicitando gran parte delle pratiche fin qui messe in atto, sia nelle istituzioni che nel terzo settore come nelle singole e composite reti associative. È il significato di quella «politica prima» che per Alma Sabatini ha avuto il femminismo. Somma e Maestri, studiosi e utenti della biblioteca e degli archivi del Centro documentazione donna di Modena, hanno allora colto e sviluppato questa sponda e la loro idea è diventata progettualità interna al Centro, insieme ad altri attori partecipanti, dando vita tre anni fa a un convegno internazionale (svoltosi il 30 marzo del 2017 all’Università di Modena e Reggio Emilia) di cui il libro è l’esito ultimo.
SCOMPARSA nel 1988 a causa di un incidente stradale, altri sono stati in questi anni gli interventi per mantenere viva la memoria di Sabatini che, fino a quel momento, ebbe a impegnarsi mai in solitudine bensì insieme a chi aveva condiviso battaglie importanti fin dal collettivo romano di via Pompeo Magno e poi altrove, dalle piazze alla rivista «Effe» – solo per citare alcuni degli esercizi di libertà di cui è stata protagonista. Ecco perché il Centro di documentazione a lei intitolato è ancora oggi in attività – all’interno della Casa internazionale delle donne di Roma – e conserva le sue carte private che ancora molto hanno da raccontarci.
Il volume che oggi ospita molti interventi e testimonianze preziose (cominciando da quello di Vittorina Maestroni e continuando con Fabiana Fusco, Stefania Cavagnoli, Francesca Dragotto, Federica Formato, Gemma Pacella, Carla Maria Reale, Chiara Nardone, Brunella Casalini, Giuliana Giuliani, Lina Appiano, Paolo Nitti, Edda Billi, Paola Mastrangeli, Marcella Mariani, Elena Marinucci, Judith Pinnock) consegna dunque l’arcipelago generoso di una linguista instancabile e così la vasta ricezione delle sue ricerche.
SMASCHERANDO una postura vocata alla scorciatoia sciatta dello stereotipo, prodotta da un immaginario arido e zeppo di formule scadenti, si comprende che Sabatini ha avviato una mappatura del linguaggio e del guasto generato dal suo maldestro o strumentale utilizzo. Il concetto viene ribadito bene anche nel lavoro di Somma e Maestri per indicare che non solo parlare, come ebbe a dire Luce Irigaray, non è mai neutro (e che non è stato diversamente anche per Sabatini), ma che il linguaggio – in sé senza colpe - viene spesso appiattito quando non falcidiato dall’uso di un falso universalismo, quando ci si rende conniventi al neutro maschile e a una diminuzione dello spazio guadagnato dalle donne sulla scena pubblica. Serve allora storicizzare quanto è stato fatto e proseguire con un allargamento delle possibilità che lo stesso linguaggio offre, fare in modo che la grammatica sia lo specchio relazionale della realtà, non una sua ridondanza. E che la sessuazione sia una costante e mobile presenza del vivente che domanda esistenza. Questa è forse la lezione più duratura di Alma Sabatini, che poco ha a che vedere con la «parità» e con il politically correct bensì che si intreccia con l’ascolto e la nominazione politica e radicale del mondo. Senza trappole né compromessi.

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