CULTURA

Vittorio Foa, una vita tra politica, sindacato e impegno rigoroso

«RIVISTA STORICA DEL SOCIALISMO»
MARIA GRAZIA MERIGGI

Nel numero uno del 2020, La Rivista Storica del Socialismo pubblica (con l’editore Biblion) un’importante sezione dedicata a Vittorio Foa che amplia i contributi del convegno svoltosi in Senato a Roma nel decennale della scomparsa. Coordinati da Andrea Ricciardi, i contributi sono di Chiara Colombini, Federica Montevecchi, Giovanni Scirocco, Fabrizio Loreto, Marco Bresciani, Geppi Calcara, Anna Foa, Bettina Foa, Pietro Medioli.
Il dossier ricompone il percorso unitario di una vita straordinaria di cui lo stesso Foa ha sottolineato i mutamenti ma di cui qui emerge anche la continuità, del metodo più che dei contenuti. Della stagione di G&L e del Partito d’Azione, della cospirazione e della lotta antifascista viene rivendicata la gioia dell’essere liberi insegnando a se stessi e agli altri – anche in una dura detenzione – la libertà di pensare e progettare autonomamente. Lo scioglimento del Pd’A, dopo l’esautoramento del Cln, è un periodo di crisi da cui esce aderendo al Psi ma soprattutto alla Cgil. Fondamentale l’incontro con Di Vittorio, il suo «solo maestro in politica» (1991): adesso i protagonisti dell’autonomia e dell’invenzione sociale sono i lavoratori.
COL PIANO DEL LAVORO Foa si qualifica come uno fra i pochi dirigenti della sinistra italiana a comprendere la lezione keynesiana. È fra i protagonisti del «ritorno alla fabbrica» dopo la sconfitta del ’55. Al di là delle vicende dei Quaderni Rossi, Foa secondo il quale Panzieri «reintrodusse, in forma non scolastica o accademica, ma militante, il marxismo teorico in Italia» - vi pubblicò Lotte operaie nello sviluppo capitalistico in cui si riassumono la critica a una lettura deterministica e «crollista» del capitalismo di cui si individuano le capacità innovative e la necessità di riportare il sindacato a contatto con le esperienze quotidiane dei lavoratori. In questi anni Foa è anche protagonista della scissione del Psiup, e una tale scelta a distanza di tanti anni sembra rivelare un elemento centrale del pensiero e delle pratiche di Vittorio, che è stato sempre attento all’insediamento sociale del Pci, lontanissimo dal marxismo ossificato e dall’autoritarismo sovietici ma anche dalla centralità che nelle esperienze socialdemocratiche ha lo Stato con le politiche riformatrici (rese possibili dai conflitti sociali ma cristallizzate in statualità). Sacrificare la specificità del socialismo alle esigenze di governo evidentemente significava trascurare il ruolo della costruzione dell’autonomia sociale nel processo riformatore.
NEL ’70 Foa si dimette dalla Cgil e inizia un percorso di affiancamento generoso alla Nuova Sinistra e di studio e poi di produzione memorialistica di cui la rivista dà ampiamente conto. Al centro di questo periodo, un libro controverso – pubblicato nel 1985 dopo una radicale riscrittura e di nuovo nel 2009: La Gerusalemme rimandata. Domande di oggi agli inglesi del primo Novecento. Che è innanzitutto un grande testo di storia sociale nella linea di Labouring man di Hobsbawm. Che segue la crescita del radicalismo operaio a cavallo della Grande guerra e la sua sconfitta negli anni Venti non in base all’accoglimento dell’esempio russo ma nella pratica «del controllo operaio nella sua luce politica». Una sconfitta che però può non essere definitiva se si mantiene aperta l’idea, espressa nella prefazione del 1985, che «politica non è solo comando è anche resistenza al comando … non è, come in genere si pensa, solo governo della gente, … è aiutare la gente a governarsi da sé».
NELLA «GERUSALEMME» sono spiegati al pubblico italiano i problemi della ricomposizione fra operai di mestiere «rispettabili», operai non qualificati e mondo proletario, un problema di ricomposizione fra mondi del lavoro e del non lavoro che si andava proponendo dopo il ’77, e poi negli anni Novanta e che oggi è il nodo principale di una sinistra dispersa.
Negli anni successivi Foa ripropone questi problemi rifiutando di chiudersi in una ossificata «coerenza» («per alcuni sono cambiato anche troppo», scrive) ma suggerendo implicitamente la continuità della ricerca tenace dell’autonomia sociale, della scommessa finora persa dell’intreccio fra rappresentanza politica e autonomo controllo dal basso.

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