ECONOMIA

Conte brinda e sfodera una lista in sette punti

MA RIEMERGE IL PROBLEMA DEL MES
ANDREA COLOMBOitalia/europa/bruxelles

Appena un velo di doverosa prudenza, «l’importante ora è portare a casa il risultato», ma per il resto è tripudio. Le fonti di palazzo Chigi fanno filtrare reazioni da champagne a fiumi. «Un risultato impensabile fino a pochi mesi fa. Ci prendevano per visionari invece è proprio quello che chiedevamo: un ottimo segnale». Le stesse fonti, esagerando un bel po’, comunicano anche che il telefono di Giuseppe Conte ribolle per la quantità di telefonate dei capi di Stato in fila per congratularsi. Legittima propaganda ma i contatti ci sono stati davvero. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri è del medesimo umore e per esternarlo sceglie l’inglese: «Well Done!», ben fatto. Anche il reggente dei 5S Vito Crimi, già movimento euroscettico, plaude a quello che sino a ieri si chiamava Recovery Fund, diventato ora Next generation Eu: «L’Europa si sta dimostrando non solo un’Unione ma quella comunità che tutti vogliamo».
Brindisi e pacche sulle spalle sono comprensibili, ma nell’ombra restano vive parecchie preoccupazioni. La prima è il braccio di ferro con i falchi. La partita non è vinta. I frugali non si sono arresi. Ma una mossa come quella della Commissione è destinata a pesare parecchio sulla trattativa, soprattutto perché la Commissione ha ripreso nei fondamentali la proposta del tandem guida, Merkel e Macron. Resistere alle pressioni franco-tedesche, nonché della Commissione, del parlamento europeo e della maggioranza degli Stati membri non sarà facile, anzi sarà probabilmente impossibile. Da quel punto di vista a Roma regna l’ottimismo.
La questione dei tempi accende meno sorrisi. La presidente Ursula von der Leyen si augura che il parlamento europeo e soprattutto quelli nazionali possano discutere e votare in autunno, così da partire all’inizio del 2021. Ma un auspicio non è una certezza e soprattutto il 2021, per l’Italia, è lontanissimo. L’ipotesi in campo è quella di un prestito-ponte, che però sarebbe anch’esso insufficiente. Così, inevitabilmente, riemerge il problema eterno del Mes, che almeno risolverebbe la questione centrale delle spese sanitarie. Conte, la settimana scorsa in parlamento, aveva quasi chiuso ufficialmente la questione ma il Pd torna all’attacco. L’ostacolo è il no del M5S, nel quale ci sono incrinature: il ministro Federico D’Incà apre uno spiraglio sottolineando che «le condizioni del Mes sono molto cambiate. Bisognerà vedere». Ma D’Incà fa parte della pattuglia più governista e moderata del Movimento: non è affatto detto che i duri siano altrettanto disponibili.
Il vero nodo però sono le condizioni del sussidio. I Paesi che lo riceveranno dovranno seguire le direttive europee, investire cioè in green economy e digitalizzazione, svecchiare la burocrazia, riformare l’amministrazione, l’istruzione e la giustizia. Per l’Italia, che sin qui non è stata in grado di spendere i fondi europei già stanziati per quegli obiettivi e che non è mai riuscita neppure a ipotizzare quelle riforme non sarà facile fare in pochi mesi quello che non è riuscita a fare in molti anni.
Probabilmente non per mera coincidenza proprio ieri il premier Conte, con una lettera a due quotidiani, ha illustrato un Recovery Plan all’italiana in sette punti che pare fatto apposta per andare incontro alle richieste della Ue. Digitalizzazione, rilancio delle opere pubbliche, sviluppo sostenibile (cioè green economy), sburocratizzazione, riforma della giustizia e della pubblica amministrazione, revisione di quel muro invalicabile che è diventato l’abuso d’ufficio. La lista è precisa ma fatta di titoli. Se questo governo e questa maggioranza saranno in grado di affrontare una simile prova è l’incognita che grava sui risultati del Next generation ma anche su quanto si rivelerà grave, non nel giro di anni ma di mesi, il nodo potenzialmente scorsoio del debito pubblico.
Nella lista il premier ha anche inserito la riforma fiscale, della quale, come a completare il quadro ambizioso del progetto di governo, ha parlato il ministro dell’Economia Gualtieri. Nulla di davvero definito e ancor meno di deciso ma l’obiettivo sarebbe un taglio delle tasse per le aliquote medio-alte, quelle fra il 38 e il 41%, che dovrebbero essere unificate in un’unica aliquota del 36%. Si vedrà presto se si tratta di miraggio o di progetto reale.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it