SOCIETA

«Appalti pilotati» nella sanità, retata per corruzione in Sicilia

L'inchiesta ruota attorno a 4 gare indette dall’Asp di Palermo per quasi 600 milioni di euro. Tra i 10 arrestati anche Antonio Candela, a capo della task force regionale anti-Covid
ALFREDO MARSALAITALIA/palermo

Appalti pilotati, manager infedeli, burocrati compiacenti, faccendieri spietati. E ancora: imprenditori senza scrupoli, mediatori pronti a costruire dossier veri o falsi con lo scopo di scalare il potere e intascare tangenti nelle gare per le forniture nella sanità pubblica. C’è tutto questo nell’inchiesta della guardia di finanza che si è abbattuta come un terremoto in Sicilia. Dieci le persone arrestate, due indagate. Il nome di spicco è quello di Antonio Candela, ritenuto un top manager della sanità, messo tre mesi fa dal governo Musumeci a capo della task force regionale anti-Covid, col compito di coordinare le strutture sanitarie durante l’emergenza. «Non si è occupato di atti di spesa», assicura Ruggero Razza, l’assessore alla Sanità che nelle trame oscure di alcuni degli indagati, rivelate dall’ordinanza del gip di Palermo, era considerato «il bambino», che Musumeci doveva levare dai «coglioni». Perché ad ambire a quella delega era proprio Candela (prima della sua nomina nella task force) che, si legge nelle carte, nutriva livore per non essere stato confermato, due anni fa, dal governo Musumeci alla guida dell’Asp 6 di Palermo, la più grande azienda sanitaria della Sicilia. E per farlo, secondo l’accusa, il sodalizio minacciava dossier da inviare ai due vicepremier del primo governo Conte: Luigi Di Maio e Matteo Salvini.
Da grande accusatore di un sistema di corruzione che fece guadagnare a Candela l’appellativo di manager «anti-tangenti» tant’è che fu messo sotto scorta dopo le sue denunce che bloccarono alcune gare d’appalto per presunte anomalie, ora il superburocrate è passato a indagato e dovrà difendersi dall’accusa di avere intascato mazzette. L'inchiesta, denominata «Sorella sanità», ruota attorno a quattro gare indette quattro anni fa dalla Centrale unica di committenza della Regione (una sorta di Consip siciliana) e dall'Asp di Palermo per quasi 600 milioni di euro. Le dodici persone coinvolte (10 arrestati) sono accusate, a vario titolo, di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, istigazione alla corruzione, rivelazione di segreto di ufficio e turbata libertà degli incanti; tra gli indagati c’è anche il deputato regionale Carmelo Pullara (popolari e autonomisti), vice presidente della commissione Sanità all'Ars, mentre il manager dell'Asp di Trapani Fabio Damiani è finito ai domiciliari. Sequestrate in via preventiva 7 società, con sede in Sicilia e Lombardia, e disponibilità finanziarie per 160 mila euro, pari all'ammontare allo stato accertato delle tangenti già versate. Il giro di mazzette, secondo gli inquirenti, però sarebbe di almeno 1,8 milioni di euro. I pagamenti delle tangenti in alcuni casi avvenivano con la classica consegna di denaro contante, spesso venivano invece mimetizzati attraverso complesse operazioni contabili tra le società aggiudicatarie dell'appalto e una galassia di altre imprese, intestate a prestanome, ma riconducibili ai faccendieri di riferimento per i pubblici ufficiali corrotti. Per rendere ancora più complessa l'individuazione del «sistema», gli indagati si erano spinti fino alla creazione di trust fraudolenti, con l'obiettivo di schermare la reale riconducibilità delle società utilizzate. Intercettazioni telefoniche e ambientali rivelano che gli indagati applicavano un vero e proprio tariffario sulle commesse alle quali bisognava applicare il 5% che corrispondeva alla mazzetta che avrebbero introitato nel tempo. «È stata disvelata l'esistenza di un quello che può essere definito un vero e proprio centro di potere», commenta il comandante del nucleo di polizia economico-finanziaria, Gianluca Angelini.

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