COMMENTO

Reddito e lavoro nella prossima Legge di Bilancio

Welfare 2021
ROBERTO ROMANOITALIA

Sebbene il così detto Decreto Rilancio sia né troppo grande, né troppo piccolo, il complesso delle risorse impegnate dal governo fino ad oggi è pari, più o meno, alla caduta del Pil del 9,5%. In effetti, il debito pubblico dovrebbe crescere del 6,4% (150 mld), che tra le altre cose coincide con gli impegni della Bce circa gli acquisti di titoli italiani. Ovviamente si tratta di provvedimenti una-tantum.
Ovvero non dovrebbero condizionare il bilancio per il 2021 a legislazione vigente, ma il bilancio 2021 non potrà fare troppo affidamento alla legislazione vigente. Le incognite sono troppe e quelle poche sono fondate sul postulato economico che prima o poi il sistema di riprenderà.
La Legge di Bilancio 2021 deve affrontare delle jusse enormi che dovrebbero spaventare non solo chi governa, ma anche chi contratta con il governo. Inoltre, il bilancio 2021 deve considerare le minori entrate proporzionali alla caduta del Pil. Non saranno pari a quelle del 2020, ma un residuo importante rimarrà e dovrebbe essere compensato o da maggiore debito, oppure da una operazione fiscale che, a questo punto, dovrebbe essere coerente con gli obiettivi di finanza pubblica.
In altri termini, la manovra 2021 dovrebbe consolidare maggiori entrate pari a non meno di 30 mld, a cui si aggiungerebbero provvedimenti di rilancio economico importanti per creare tanto lavoro quanto se ne è perso, in settori che più di altri posizionerebbero il Paese in settori strategici e/o essenziali. Senza dare dei numeri che sarebbero comunque imprecisi, tra provvedimenti e spese indifferibili, piano ambientale, adeguamento della spesa sanitaria, universitaria e della ricerca pubblica, nonché il ricambio generazionale della pubblica amministrazione, servirebbero altri 30 mld di euro. L’effetto sarebbe quello di una manovra tra 60 e i 70 mld, a cui dovrebbe aggiungersi una adeguata spesa in conto capitale, nell’auspicio che passi la golden rule a livello europeo.
Quanto capitale pubblico deve concorrere alla rigenerazione del capitale privato? Quali sono i settori che lo stato dovrebbe presidiare per affrontare la ricostruzione della nuova catena del valore? Quale è l’equilibrio più avanzato tra stato-finanza-capitale e lavoro? Quale dovrebbe essere il livello di reddito pubblico adeguato a fronteggiare le crisi più o meno inaspettate? Quale è il livello minimo di entrate e spese fiscali per rendere efficace la Pubblica Amministrazione?
Senza indugiare sul capitolo investimenti, che meritano una trattazione particolare, il capitolo stato sociale, che interessa la tutela del lavoro, meriterebbe un provvedimento strutturale teso a delineare gli assetti prossimi futuri dello stato sociale “lavoristico”. Inoltre, non dovrebbe essere uno stato sociale finanziato dal solo lavoro; ne consegue che la fiscalità generale dovrà farsi carico di almeno di una parte di questo stato sociale. Un fenomeno non nuovo e che richiama, anche, la sostenibilità macroeconomica di un paese.
L’epidemia ha resto evidente che il reddito una-tantum via deroga e/o erogazione partite Iva, pur con tutti i limiti, ha reso un poco più sostenibile non solo la vita delle persone, ma anche un poco più sostenibile il quadro macroeconomico. In effetti, se guardiamo all’andamento della voce “altre prestazioni sociali” (Def aprile 2020), al netto della previdenza, queste sono indiscutibilmente aumentate di 17 mld rispetto al 2019, traguardando i 103,5 mld (2020), che diventerebbero 98,2 mld nel 2021. Si tratta di una crescita di 12 mld di euro rispetto al 2019. Leggendo il Def di aprile, per quello che può valere in ragione dell’eccezionale situazione, sembrerebbe che gli impegni aggiuntivi pari a 12 mld debbano essere strutturali. Strutturali come non è dato sapere, ma potrebbe essere l’inizio di una riflessione che dovrebbe accoppiarsi ad una semplificazione degli strumenti di sostegno, diventati come i petali di una margherita. Troppi.
Escludendo i trasferimenti monetari in ragione delle caratteristiche dei percettori di qualsiasi reddito, le così dette tax expanditure, il sostegno al lavoro, involontariamente perso, necessità di una riforma, rimanendo nel solco del principio assicurativo.
Sarebbero almeno tre i perni del nuovo stato sociale lavoristico : un reddito di transizione quando non lavori; un reddito di sospensione per riorganizzazione produttiva; un reddito di esclusione sociale. Evidentemente deve rimanere una quota di finanziamento diretto del lavoro e del capitale, ma i fenomeni economici necessitano di qualcosa di più.

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