VISIONI

Peter Mettler, un filmmaker di frontiera

La masterclass online del regista, musicista e direttore della fotografia a Visions du Reél
SILVIA NUGARASVIZZERA/NYON

Regista, musicista, direttore della fotografia per Atom Egoyan, Bruce McDonald o Jennifer Baichwal, lo svizzero-canadese Peter Mettler è un artista di frontiera, affascinato dall’altrove nello spazio e nella coscienza. Quest’anno, Visions du Réel nella sua prima edizione online gli ha dedicato una retrospettiva e una masterclass telematica che ha permesso a utenti da tutto il mondo di ascoltarlo e dialogare con lui in diretta dal Canada.
I FILM di Mettler sollecitano i sensi – «La mia sfida è calare chi guarda in una situazione» – e sarebbero da vedere in sale attrezzate, tuttavia in questi giorni si possono scoprire in streaming sulla piattaforma DA Films. Tra questi c’è il recente Becoming Animal (2018), meditazione animista sul rapporto umano-ambiente accompagnata dal filosofo David Abram e realizzata con Emma Davie nel Grand Teton National Park: «Al centro del mio cinema c’è un paradosso – ha spiegato Mettler – la tecnologia e la scienza che ci permettono di esplorare il mondo, la materia di cui siamo fatti, allo stesso tempo ce ne separano. Rischiamo di vivere in una dimensione sempre più artificiale in cui interagiamo solo con noi stessi, incapaci di ascoltare le reazioni della natura circostante, dell’universo animale. È difficile trovare un equilibrio, oscilliamo in continuazione. Stare tra due culture è la stessa cosa: sono qui o altrove?».
IL SUO CINEMA si nutre di viaggio e di un moto costante verso una linea di orizzonte che avanzerebbe all’infinito se non intervenisse quella che lui chiama «impermanence», la finitudine «non come annichilimento ma come possibile rinascita». Difatti, molti suoi film percorrono luoghi in cui la demarcazione tra vita e morte è tangibile, dal deserto di ghiaccio di Picture of Light (1994), all’India di Gambling, Gods and Lsd (2002), da Bodh Gaya alle case abbandonate di Detroit in The End of Time (2012). Picture of Light per esempio documenta l’impresa di filmare l’aurora boreale e la luce del grande Nord, a Churchill, in Canada, dove gli inverni sono a 30°/40° sottozero e sembra di stare ai confini della Terra. In inglese «sparare» e «filmare» si possono dire con uno stesso verbo così, in situazioni tanto estreme, se chi esce tra i ghiacci per una battuta di caccia rischia di perdere i piedi o la vita, lo stesso vale per chi cattura immagini. «Quel film è una meditazione su ciò che significa riprendere la natura e sulla differenza tra percepire l’ambiente per esperienza, mettendo il gioco il proprio corpo, o attraverso immagini. Mentre giravo ero consapevole che per molti le immagini sono l’unico modo per conoscere certi luoghi o fenomeni. Dunque, ho voluto riflettere sulla percezione della natura e sulla natura della percezione in un’epoca in cui la nostra coscienza si forma attraverso surrogati mediatici».
25 ANNI anni dopo, il leitmotiv di quel film risuona in modo inquietante: «Le cose sembrano non esistere se non vengono immortalate da un’immagine». Noi stessi chiediamo a selfie e social di rassicurarci sulla nostra esistenza mentre rischiamo di ignorare parti di mondo e di umanità che in queste settimane di confinamento sono uscite completamente dai radar dei media. «È strano - dice il regista - scoprire come un’opera risuona a distanza di tempo in un nuovo contesto culturale». Come quegli aerei che solcano il cielo di Las Vegas poco prima dell’implosione di un palazzo in Gambling, Gods and Lsd che Mettler stava montando il giorno in cui un amico lo chiamò per dirgli che un velivolo si era schiantato contro una delle Torri Gemelle: «A volte cogliamo cose la cui logica sfugge al nostro io ma forse non al nostro inconscio».
UN CINEMA sui limiti espandibili e distorcibili della percezione il suo, sin da Scissere (1982) in cui tre personaggi incarnano diverse prospettive sullo straniamento e la ricerca d’identità e il loro vagabondaggio esistenziale si esprime attraverso un collage di diversi formati e tecniche cinematografiche, dalla stop motion alla colorazione e distorsione ottica. Con il digitale questa ricerca si è espansa approfondendo anche il rapporto tra suono e immagine. Durante la lavorazione di Gambling – «diario di viaggio costruito sull’analogia come logica conoscitiva» – Mettler ha iniziato a sviluppare tecniche di vjing con mixer, nastri, strumenti analogici e proiezioni multischermo che si sono fatte via via sempre meno rudimentali fino all’incontro con Greg Hermanovic, ingegnere e premio Oscar.
I DUE hanno sviluppato l’interfaccia Mixxa per il mix di suoni e immagini Hd il cui risultato sono performance live o sequenze psichedeliche come gli otto minuti di The End of Time in cui l’occhio dell’acceleratore di particelle al Cern di Ginevra si tramuta in un mandala dando avvio a una teoria di metamorfosi visionarie della materia che per il regista prefigurano il «film del futuro». Attualmente, Mettler sta lavorando a un progetto dal titolo Greener Grass, in cui interroga il significato dell’espressione «l’erba del vicino è sempre più verde» in diverse culture: «È un concetto che ha a che fare con l’invidia, la guerra ma è anche una forza che ci porta a esplorare il mondo, a espandere la nostra psiche. Farò da collettore e mediatore di materiali girati di altri», tra cui gli studenti della scuola di cinema a Cuba dove prima del lockdown ha condotto un laboratorio di tre settimane.

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