VISIONI

Mike Downey, le sfide del cinema europeo

Il produttore britannico parla dell’impatto sull’industria della crisi sanitaria e della Brexit
GIOVANNA BRANCAgb

«Nelle ultime settimane in Europa si è creata una situazione che cambia le regole del gioco. Non credo che niente sarà lo stesso dopo quanto è accaduto» dice Mike Downey, presidente della European Film Academy e Ceo della compagnia di produzione Film and Music Entertainment: fra i loro lavori più recenti il nuovo documentario di Julien Temple, Rio 50 Degrees. Con lui abbiamo parlato delle possibili conseguenze della crisi sanitaria sull’industria cinematografica europea e dell’approssimarsi dell’effettiva uscita del Regno Unito dall’Ue.
Anche se è presto per avere un’idea chiara, in che modo pensa che la crisi del Coronavirus influirà sul sistema del cinema europeo, dalla produzione alle sale?
In questo momento ci serve guardare le cose in prospettiva, fare un passo indietro per vedere il quadro complessivo della società, il sistema sanitario, e capire in che modo possiamo unirci per salvare più vite possibile. Detto questo, credo che quando usciremo da questa pandemia si ricominceranno a fare film con passione, e ci sarà un enorme desiderio di andare al cinema. Contrariamente all’opinione diffusa, penso che ci sarà una reazione contro l’estrema diffusione dello streaming, la fruizione di prodotti audiovisivi su piccoli device.
Come sarà la fase due? In Cina alcuni cinema hanno riaperto, proiettando vecchi film. Ma sono stati richiusi dopo poco.
Il modo in cui la Cina sta affrontando l’epidemia e la spinta per tornare alla normalità dopo la quarantena ha una grande importanza per gli studios hollywoodiani e per gli esercenti, e non solo per l’impatto che le vendite di biglietti in Cina hanno avuto sull’intera filiera negli ultimi dieci anni. Al momento, le sale statunitensi sono chiuse, e l’uscita primaverile dei blockbuster è stata rimandata. Questo ha un maggior impatto sui grandi blockbuster in Europa, dove la stagionalità delle uscite è fondamentale. I film europei soffriranno maggiormente della posticipazione dei festival.
Di che strategie ci sarà bisogno per uscire da questa crisi?
Un urgente supporto finanziario ora e nei mesi a venire, per garantire la sopravvivenza dell’ecosistema cinematografico e audiovisivo in Europa, che verrà colpito duramente dal distanziamento sociale. La crisi del nostro settore sarà avvertita profondamente ben oltre il periodo di confinamento. È evidente che senza un forte impegno dei leader europei e nazionali l’industria dello spettacolo avrà difficoltà a risollevarsi dall’impatto senza precedenti di questa emergenza sanitaria. Come del resto ogni altra industria del pianeta.
A fine anno la Brexit diventerà effettiva. Cosa ne sarà della partecipazione dell’Uk a Creative Europe (il programma europeo per il sostegno del settore culturale)? In che modo potrà continuare la cooperazione fra industrie cinematografiche del continente?
L’Uk uscirà da Creative Europe il 31 dicembre. C’è una piccola possibilità che l’uscita venga posticipata, ma si tratterebbe solo di rimandare l’inevitabile. Considerato l’effetto che la crisi sta avendo sull’economia e le finanze pubbliche credo non ci siano dubbi che i fondi che il Regno Unito destinava al programma verranno dirottati altrove, quindi questo sarà un triplo affondo per i filmmaker: le conseguenze della crisi sanitaria, nessun finanziamento da Creative Europe e nessun finanziamento extra dal governo britannico per coprire la lacuna. E la limitazione della libertà di movimento - che sarà ancor più difficile da gestire per gli europei nel mondo post virus - non farà che peggiorare la situazione. Ma la solidarietà fra paesi membri e il mercato del cinema d’autore ripartiranno da dove si sono interrotti. Per quanto ci riguarda, la European Film Academy si rivolge a tutti i membri dell’industria cinematografica britannica perché sappiano che sono ancora benvenuti nella comunità creativa del cinema europeo: siamo tutti insieme in questa situazione, nonostante il disinteresse del governo del Regno Unito verso i progetti europei e la sua scarsa sensibilità nei confronti del mondo dell’arte.

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