CULTURA

Opere in dono per finanziare ospedali e fondazioni nella pandemia

ASTE
SERENA CARBONEITALIA

Qualche settimana dopo che il virus ha chiuso in casa milioni di italiani, mettendo un fermo a tutte le attività culturali e decretando anche la chiusura di mostre, musei, gallerie e fiere, diversi artisti hanno deciso di donare delle opere. O meglio loro donano e chi compra devolve il ricavato a ospedali e centri di ricerca impegnati nella lotta contro il virus pandemico.
NON C’È UN FORMAT che accomuna le diverse iniziative, ognuno ha scelto il modo che sembrava più opportuno: Alessandro Piangiamore ha messo in asta su Instagram una sua opera, battendola a 8.550 euro e facendo poi convergere l’intero ricavato all’Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma; Andrea Mastrovito, di casa a New York ma con il cuore alla sua Bergamo, ha deciso di sostenere il Centro Don Orione e ha lanciato una raccolta fondi sulla piattaforma GoFundMe, omaggiando con un suo disegno chi offre una cifra compresa tra i 200 e i 1000 euro e oltre (sono stati raggiunti quasi 63mila euro); Valerio Berruti ha raccolto circa 250mila euro in sette giorni, essendosi impegnato a regalare un suo disegno a chiunque facesse una donazione di importo pari o superiore a 300 euro alla Fondazione nuovo ospedale Alba-Bra Onlus.
ALL’INIZIATIVA DEI SINGOLI, si aggiungono poi le numerose proposte di gallerie, come Laveronica di Modica, di Fondazioni, come quella di Giulio e Anna Paolini, ma anche di case d’asta (Blindarte) o dell’Accademia nazionale di San Luca. Gli artisti sono generosi, donano e lo fanno di propria volontà o perché coinvolti in progetti collettivi. Tra questi, c’è I have a gift a cura di Francesca Guerisoli con il supporto organizzativo di Wunderbar Cultural Projects e in collaborazione con le associazioni Ramdom, Careof, Chan e l’avvocato Andrea Ninni, che ne riunisce più di venti (da Elena Bellantoni, a Flavio Favelli, fino a Stefania Galegati, Francesco Lauretta, Margherita Moscardini, Giuseppe Stampone, Cesare Viel, Driant Zeneli, solo per citarne alcuni). La curatrice, in accordo con l’organizzazione e gli artisti, ha deciso di donare le opere al valore di mercato (compreso tra i 250 e i 5000 euro), e chi compra sceglie l’ospedale o il centro a cui devolvere il ricavato.
IN QUESTO CASO l’operazione è diversa: stabilendo di non «svalutare» le opere, si è voluto non incorrere in speculazioni a vantaggio del collezionista certo di ritrovarsi in casa un pezzo che altrimenti avrebbe pagato a una cifra totalmente differente. E se diversi collezionisti hanno già preso parte al progetto, altri temporeggiano e contestualmente si affacciano all’orizzonte raccolte fondi da parte di soggetti inediti e collettivi: genitori di un asilo, studenti e altri gruppi informali.
Almeno due le considerazioni necessarie: lodevoli sono le iniziative che dimostrano come gli artisti viventi, al contrario di quello che l’industria delle mostre spesso vuol far credere, non sono mummificati nei musei o nei salotti-gallerie, ma vivono nel nostro tempo, attraversandolo.
Ma quale «valore» assegna l’Italia all’arte? In America, per quanto sia cocente la crisi all’interno delle strutture museali, i privati e quindi le Fondazioni stanziano «doni» a favore degli artisti, e gli altri Paesi europei stanno costituendo fondi specifici per la cultura. E in Italia? Gli artisti sono inquadrati come lavoratori autonomi a partita Iva, pertanto stanno attendendo i contributi dall’Inps.
Non c’è atto più nobile del dono che crea legami privi di gerarchie, che congiunge gli individui in un cerchio magico ( in questo caso, si chiama solidarietà. Ma non tutti i vincoli sono privi di omaggi e lusinghe, allora l’auspicio è che quel «presente» che molti si ritroveranno a casa, non faccia dimenticare l’esistenza di chi, forse troppo umano, vive in questa epoca.

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