VISIONI

Mondi lontani e senza confini per i Tamikrest

QUINTO ALBUM PER LA BAND MALIANA
GIANLUCA DIANAmali/kidal

Nasce sotto i migliori auspici dell’internazionalismo il quinto disco dei Tamikrest, che porta il loro stesso nome (Tamotaït glitterbeat records). La band che arriva dalla città maliana di Kidal ma che ad oggi risiede a Tamanrasset in Algeria, proprio ai bordi del deserto del Sahara ha iniziato a comporre i nuovi brani del lavoro, per concluderne poi il processo creativo in un remota isola del Giappone ed assemblare il tutto in Francia. Il risultato è ampiamente soddisfacente, collocando quanto fatto all’apice della loro produzione, superando in qualità anche Chatma, lavoro che nel 2013 li ha fatti conoscere al mondo. Per raggiungere tale obiettivo, si sono affidati per la seconda volta alla competenza del produttore irlandese David Odlum, che nel corso della carriera ha lavorato con calibri come Glen Hansard e Tinariwen, contribuendo in modo determinante all’album Tassili, che nel 2012 fece vincere il Grammy Award alla formazione tuareg. La seduta di incisione presenta i cinque musicisti in grande spolvero sia quando si muovono nei territori del desert rock-blues da cui provengono (Awnafin, Amidinin Tad Adouniya), sia quando rallentano le battute, firmando crepuscolari ballate (As Sastnan Hidjan).
IL PASSAGGIo ad un livello superiore si avverte sopratutto in occasione delle collaborazioni presenti che garantiscono una maggiore ricchezza espressiva e che in prospettiva, sembrano quasi spingere i Tamikrest verso una maggiore apertura alle musiche dal mondo, circostanza questa che appare per certi versi essere il naturale sviluppo dei suoni Tamasheq. La conferma arriva in tale senso da Tabsit, canzone che vede la partecipazione di Atsushi Sakta e Oki Kano, musicisti giapponesi di stampo tradizionale.
MENZIONE d’obbligo anche per Timtarin, riuscito blues profondamente catartico dove alla voce di Ousmane Ag Mossa, fa da contraltare la cantante Hindi Zahra, che contribuisce ad aggiungere una sfumatura pop di indubbio interesse. Nello stesso brano ed ancor più in Tihoussay, emerge l’importanza del chitarrista occitano Paul Salvagnac, come cardine del suono della formazione. Il francese, che lungamente ha condiviso il palco proprio con la Zahra, rappresenta l’alter ego perfetto del leader Ag Mossa, contribuendo al bilanciamento tra gli ambiti sonori tradizionali e quelli di matrice blues rock, come accade quando si alza il volume al massimo nelle sferzate elettriche di Anha Achal Wad Nama.

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