INTERNAZIONALE

Le rivolte sono globali, repressione ovunque: 58 detenuti uccisi

In tutti i continenti le prigioni rivelano le contraddizioni nella risposta all’emergenza. 43 morti solo in America latina
SIMONE SCAFFIDIcolombia/bogota/america latina

Per giustificare i 23 detenuti uccisi e gli 83 feriti, lo scorso 21 marzo, nel carcere La Modelo di Bogotà la ministra della giustizia colombiana Margarita Cabello ha dichiarato che «non è stato un problema sanitario a originare le rivolte» e che semplicemente si «è trattato di un piano d’evasione criminale che è stato represso».
La ministra, almeno sull’emergenza Covid, non ha detto il falso, a generare le rivolte in 17 carceri del paese non è stato il virus in sé. L’incertezza, la paura di morire e l’impossibilità di immaginare un futuro differente da quello di prima della detenzione sono condizioni che appartengono alla vita quotidiana della maggioranza di detenuti e detenute.
SE SI AGGIUNGONO violenze, sovraffollamento, umiliazioni e assenza di percorsi di formazione degni si può dedurre che privare le persone recluse delle visite sia stata la goccia che ha fatto straripare le carceri. Praticamente tutti i paesi a rischio hanno adottato, tra le misure eccezionali per contenere l’espansione del coronavirus, la limitazione dei diritti dei detenuti, dalla proibizione delle visite alla limitazione degli spazi ricreativi e del regime di semilibertà. Tali misure hanno innescato ammutinamenti, fughe e rivolte e il sistema penitenziario ha risposto con la consueta violenza, normata dai meccanismi storici di repressione statale e biopotere.
IL CASO COLOMBIANO, a riprova che il modello carcere andrebbe ripensato radicalmente e/o abolito in tutto il mondo, non è affatto isolato. Le rivolte si sono verificate in ogni continente del pianeta: dall’Europa (Italia, Francia, Spagna, Belgio) all’America latina (Colombia, Venezuela, Argentina, Brasile, Uruguay, Perù, Cile), dall’Africa (Mauritius, Uganda) all’Asia (Sri Lanka, Iran, India), dall’America del Nord (Stati uniti) all’Oceania (Samoa).
In America Latina, le rivolte sembrano non volersi placare.
A SEGUITO della proibizione alle visite dei familiari in Venezuela, il 18 marzo 84 reclusi sono evasi dal carcere di Santa Barbara e nella repressione in 12 sono stati uccisi. In Argentina, tra il 23 e il 24 marzo, i penitenziari di Florencio Varela, Coronda e Las Flores sono stati teatro di ammutinamenti e il bilancio della repressione è stato di cinque detenuti uccisi e diversi feriti, sei dei quali trasferiti in ospedale per la gravità delle ferite. In Perù il 22 marzo le sommosse nel carcere di Trujillo sono state annichilite, tre detenuti uccisi e più di 30 feriti e trasferiti all’ospedale.
In Brasile il 16 marzo, dopo le restrizioni alla semilibertà e il divieto di uscire dai penitenziari, 1.375 reclusi sono riusciti a evadere da quattro prigioni dello Stato di San Paolo e circa la metà ri-catturati dalle forze di polizia due giorni dopo. In Uruguay non è chiaro se la repressione delle rivolte nel carcere di Concepción abbia provocato morti. In Cile, il 19 marzo, 200 detenuti hanno provocato disordini nel più grande carcere del paese, il complesso Santiago 1, incendiando materassi e tentando la fuga.
IL BILANCIO MONDIALE di rivolte e repressione scaturita è per il momento di 58 morti accertate tra i detenuti in tre differenti continenti in meno di venti giorni, tra il 7 e il 24 marzo. Vista l’invisibilizzazione del problema, la tendenza delle autorità a omettere informazioni e lo scarso interesse dei media non si può escludere che il numero possa essere superiore. Il peggioramento della situazione sanitaria, la difficoltà nell’attivare reti di solidarietà «da fuori» e l’impossibilità di denunciare gli abusi nei penitenziari potrebbe generare scenari più drammatici.

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