CULTURA

La lunga sequela dei «like» che ci sfiniranno, dopo averci profilati

SCAFFALE
SIMONE PIERANNIITALIA

La storia del tasto «like» su Facebook indaga la nostra relazione con il social e più in generale il nostro legame con la rete. Per questo, analizzare le origini, i cambiamenti e le storture del «pollicione» diventa importante.
Simone Cosimi in Per un pugno di like, perché ai social network non piace il dissenso (Città Nuova, pp. 114, euro 16) affronta questa storia con l'aiuto di alcuni specialisti, indagando quanto il nostro approccio sia pilotato dalle esigenze di business di fb e al contempo alimentato dall’ambizione dell’essere imprenditori di noi stessi. Nessuno può negare di dare spesso un occhio ai consensi raccolti da un proprio post; diversa è tuttavia la tendenza a valutare i like come un giudizio esaustivo su di noi, procedendo così a snaturare anche il nostro approccio sociale off line. La vera vittoria del social è infatti quella di averci irretito nella sua logica: sappiamo bene che il punto non è «il pollice» bensì che esso concorra a profilare noi e tutti i nostri «amici»; eppure insistiamo a cercarne sempre di più e a metterne altrettanti, complici coscienti delle esigenze commerciali di Zuckerberg.
Cosimi perlustra inoltre le ragioni del perché non esista un tasto corrispondente al «non mi piace», evidentemente poco consono a un discorso allergico a ogni forma di conflitto. Nascono così alcuni paradossi: le reaction di cui disponiamo ora non hanno il «dislike» sia pure permettano di esprimere rabbia, tristezza, stupore. Ancora una volta ci prestiamo alla necessità di segmentare i dati e ben lieti regaliamo stati d'animo che possono diventare valutazioni nella profilazione, nonché strumenti di campagne per affossare o aumentare la visibilità di certi contenuti (l’autore racconta anche tutti gli utilizzi di una mera reazione compiuta, per esempio, dall'alt-right internazionale).
Del resto il «dislike» non può interessare un contenitore che tenta di venderci qualcosa (prodotti o anche partiti politici) e che ha dunque più interesse a sapere cosa «desideriamo». Come scrive nel suo intervento Giovanna Boccia Artieri, infine, «le piattaforme incoraggiano gli utenti all'uso di una logica neoliberista nella gestione dei rapporti di rete e il like è un metro di successo di un profilo o di un contenuto».
Artieri usa il termine neoliberismo «per definire il principio di socializzazione che ne deriva e che orienta le forme del comportamento socio culturale verso una gestione manageriale del sé, finalizzata alla massimizzazione del profitto».
Ecco, dunque, individuato lo scopo: immergerci nel mondo delle piattaforme e del neoliberismo, quello economico, capace di trasformare ognuno di noi in un piccolo manager di se stesso, illudendoci che solo i «like» siano la valutazione da bramare.

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