VISIONI

Fischi e detective nello stravagante noir

NELLE SALE «LA GOMERA» DI CORNELIU PORUMBOIU
SILVANA SILVESTRIromania



IIFra le poche uscite di questa settimana nelle sale (quelle rimaste aperte per l’emergenza Coronavirus...), arriva La Gomera- L’Isola dei Fischi di Corneliu Porumboiu presentato in anteprima nazionale al Torino Film Festival e già in concorso a Cannes 2018, dove aveva vinto nel 2006 la Caméra d’or per A est di Bucarest. Il titolo internazionale The Whistler, il fischiatore, indica una parte per il tutto, ovvero quella più stravagante del film, nella sua intera impostazione anarchica, un protagonista detective che impara il linguaggio dei fischi ideato da tempo immemorabile alle Canarie per non farsi capire dagli estranei.
IL FILM di Porumboiu, maestro del sarcasmo, rimescola i personaggi, le situazioni e i luoghi comuni del genere noir e ne fa un «game» da sottoporre allo spettatore, ognuno con i suoi riferimenti da far avanzare: il detective bravo ragazzo attempato, (Vlad Ivanov, Palma d’oro per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Mungiu) con una madre fascinosa nell’ombra, una Gilda appassionata, il doppiogiochista, la commissaria, i basisti, l’industriale che tesse le fila di un colpo da milioni di euro. Il linguaggio dei fischi servirà a muoversi eludendo il controllo di videocamere e cellulari, un allenamento piuttosto ironico che ricorda quello per imparare lingue ostiche e poco frequentate, come ad esempio il romeno (di cui si fa anche una breve lezione all’interno del film).
NON È CASUALE il riferimento, perché i generi cinematografici come appunto il noir, la detective story, non erano tradizionalmente frequentati dalle cinematografie dell’est Europa secondo i canoni occidentali. Le tematiche potevano riguardare la storia, le riduzioni da opere letterarie, i giovani con le loro problematiche, in Romania ci si è avvicinati talvolta perfino al western. Ma, a parte il culto di Kojak in Ungheria, di cui si vendevano le cartoline insieme a quelle delle auto da corsa, timida allusione all’occidente, oppure l’originale esordio di del polacco Juliusz Machulski, che con Vabank (‘81) tentava un intreccio da colpo grosso («non facciamo film di quel genere – ci diceva – perché non c’è niente da rubare e non ci sono neanche macchine veloci per fare quelle belle riprese di inseguimenti»). Bisognerà aspettare il gran numero di film russi che arriveranno dopo la caduta del comunismo.
COSÌ Porumboiu raggruppa tutti gli svariati elementi del genere, dalla location esotica come le Canarie, alternata però a Bucarest, con qualche allusione locale, farcita di personaggi che interagiscono in maniera frammentaria, come isolando situazioni e dialoghi paradigmatici, oggetti chiave come la fiala di veleno o il coltello di Norman Bates, così come può ricordarli un appassionato del genere che li abbia rimescolati nella sua mente, fino a rivelare una location chiave che altro non è se non un set cinematografico. Film di puro divertimento dove lo spaesamento è costante ma ben condotto, dove infine il fischio originario, quello più cinematografico è quello di Audrey Hepburn che chiama il suo taxi.

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