CULTURA

Jean Daniel, quando la storia si intreccia al grande mondo

ADDII
LUCIANA CASTELLINAFRANCIA

Saranno celebrate al Museo des Invalides le esequie di Jean Daniel, storico fondatore del settimanale Le Nouvel Observateur, mitico modello del giornalismo europeo, morto ieri a 99 anni. È un omaggio riservato agli eroi ed è giusto che sia così, perché Jean Daniel non era solo uno straordinario giornalista.
Si chiamava in realtà Ben Said, ed era nato a Blida, in Algeria, in una famiglia ebrea con undici figli cui, come agli altri ebrei maghrebini, Parigi aveva concesso, alla fine dell’800, dopo la Comune, la cittadinanza francese (ritirata poi dalla Repubblica di Vichy). E come francese Jean Daniel aveva partecipato alla Resistenza durante la seconda guerra mondiale, entrando fra i primi nella capitale, sconfitti i nazisti, con la brigata blindata del generale Leclerc. Ma quando prende corpo il movimento di liberazione algerino lui – un caso raro nella comunità ebraica magrebina – si schiera per l’indipendenza del paese.
DURANTE IL TEMPO della durissima repressione francese, Jean Daniel fu nel drappello di inviati che denunciarono gli orrori dei paras, le loro torture, le esecuzioni. Fu un’esperienza dura per tutti, ma naturalmente più rischiosa per lui, considerato un traditore della Francia. A Tunisi, nel ’61, quando esplose la ribellione antifrancese di Biserta , fu ferito gravemente.
I suoi reportage dall’Algeria di quell’epoca sono rimasti famosi. Così come famosa è rimasta la sua intervista a Kennedy, poco dopo la crisi dei missili a Cuba. In quell’occasione il presidente degli Stati Uniti gli aveva affidato una lettera riservata per Fidel Castro, ed è proprio mentre era con lui all’Avana che giunse la notizia dell’assassinio di Dallas.
Da Algeri Daniel scriveva come inviato del settimanale l’Express, dove era approdato dopo esser stato parte della redazione di France Observateur, da cui nel ’64 nascerà Le Nouvel Observateur, organo della «seconda sinistra francese» come si diceva allora, punto di riferimento di tutti i principali intellettuali del paese, uno sguardo impegnato ma non ortodosso sulle vicende del mondo.
RICORDO che quando alla fine degli anni ’50 dirigevo il settimanale della Federazione giovanile comunista, Nuova Generazione, ci dicevamo che la cosa più bella che avrebbe potuto capitarci sarebbe stata lavorare nella redazione di France Observateur: un mito, politico e professionale. Quando De Gaulle fondò la Quinta Repubblica, stravolgendo pesantemente la Costituzione del paese sì da far temere una vera e propria degenerazione autoritaria, partii per Parigi con i rappresentanti delle federazioni giovanili socialista e repubblicana per andare proprio a France Observateur a portare la nostra solidarietà antifascista!
Siamo stati molto amici di Jean Daniel. E adopero il plurale perché non mi riferisco solo a una amicizia personale ma allo stretto rapporto che il manifesto ha avuto con lui e il suo giornale, sin dall’inizio della nostra avventura. Un rapporto reso anche più stretto dal fatto che fra i nostri più prestigiosi collaboratori abbiamo avuto K.S. Karol, marito di Rossana Rossanda e autorevolissimo inviato del Nouvel Obsevateur. È sua la corrispondenza dalla Cina che apre il primo numero del quotidiano, il 28 aprile 1971. Al suo funerale, al cimitero di Père Lachaise, Jean Daniel era con noi, commosso come noi.
Era legato all’Italia, Jean, e alla sua «bizzarra» sinistra, e nel nostro paese tornava sempre. Fino a un anno fa ho celebrato ogni suo compleanno che cadeva durante le vacanze: procuravo sempre un’orchestrina, perché con sua moglie Michèle, sua figlia Sarah, anche lei giornalista, la sua nipotina Hannah, e i tanti amici francesi che arrivavano, ci piaceva ballare. In ragione delle nostre rispettive età, al ritmo degli chansonniers dell’immediato dopoguerra.
LA PASSIONE per l’Italia è stata ereditaria: faceva ancora il liceo, Hannah, quando mi chiamò per dirmi che voleva venire in Italia col suo compagno per capire la situazione politica del paese. Io stavo partendo per un giro di iniziative in Basilicata e li portai con me, serissimi e attenti. Fu anche per me una fantastica riscoperta di quei luoghi attraverso gli occhi di due ragazzi parigini. 

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