VISIONI

Le «Piccole donne» nel mondo di Amy

Più a tesi che spensierato, il film sembra progettato per l’era del #MeToo
GIULIA D’AGNOLO VALLANusa/los angeles

Freewheeling, spensierata (letteralmente, «a ruota libera»), è una parola che Greta Gerwig usa spesso per descrivere la sua visione estetica per Piccole donne. Eppure, nonostante gli incalzanti movimenti di macchina del francese Yorick Le Saux, (Carlos, Io sono l’amore, Sils Maria…), l’intercalare dei ralenti «poetici», un’abbondanza di corse, balli piroettanti e capriole, lo spumeggiare dei riccioli e delle crinoline, la colonna sonora pimpante di Alexandre Desplat e l’energia contagioluminosa di Saoirse Ronan, questo nuovo adattamento dell’amato capolavoro di Louisa May Alcott è un film molto più programmatico che spensierato, più a tesi che libero. Come disegnato per l’era #MeToo - inclusi un paio di monologhi tipo «istruzioni i per l’uso».
ROMPENDO con la tradizione degli altri adattamenti cinematografici (Cukor nel 1933, Mervin LeRoy nel 1949 e l’australiana Gillian Armstrong nel 1994, più un paio di muti tra cui quello girato dove visse Alcott, a Concord, e che include un cameo di Ralph Waldo Emerson), Gerwig ha strutturato il suo copione (che unisce i due romanzi, Piccole donne e Piccole donne crescono) in un alternarsi di passato a presente, che poi ha incastrato, sia concettualmente che drammaticamente, nell’esperienza letteraria di Jo. Un’esperienza che la regista sovrappone in modo molto esplicito a quella di Alcott e -in un continuum con la dimensione autobiografica di Lady Bird- alla sua. Jo è Louisa, che è Greta, che -nel programma del film- è tutte le giovani ragazze che vogliono darsi all’arte.
In realtà, un produttore spregiudicato come Roger Corman avrebbe intitolato questo film Piccole donne: La rivincita di Amy. Perché, nell’adattamento di Gerwig, la sorella più giovane, quella pragmatica, che vuole sposare un uomo ricco - ed è generalmente meno amata dai fan del libro - diventa un personaggio dominante. È a lei che sono affidate infatti alcune scene e battute chiave di riflessione quasi darwiniana sulla condizione della donna («si può scegliere di chi innamorarsi», «il matrimonio è una transazione economica»…). Magari involontariamente, ma in Piccole donne made in 2019 è il realismo di Amy piuttosto che l’anticonformismo di Jo a dare le indicazioni di percorso per il pubblico millennial.
IL FILM APRE (e chiuderà) con la visita Jo March (Saoirse Ronan) a un editore newyorkese (Tracy Letts) che, nella prima scena, accetta di pubblicare un suo racconto, dopo averlo tagliato abbondantemente, e la manda a casa con un consiglio: «Si assicuri che, nel prossimo materiale che mi porta, qualora ci fosse un personaggio femminile, sia sposato entro la fine. O morta». Mentre Amy (Florence Pugh, già vista in Midsommer) è a Parigi con la zia March (Meryl Streep, vestita come una lampada funeraria) per coltivare un pretendente ricco, Jo viene richiamata a casa perché le condizioni di Beth -la più fragile delle March e quella con la passione per la musica - stanno peggiorando. Quel suo ritorno a casa, in un nevoso New England, spalanca la finestra sul passato - sette anni prima- e sull’inizio del libro di Alcott.
LE SORELLE MARCH (Emma Watson è Meg, l’australiana Eliza Scanlen, Beth), con la troppo generosa e un po’ sofferente Marmie (Laura Dern), si arrangiano come possono, mentre papà è sul fronte della Guerra civile. Dalla maestosa casa dei vicini, grazie all’interesse del giovane Laurie (Timothee Chalamet), Mr. Lawrence provvede un banchetto a sorpresa quando Marmie ridirige il pranzo natalizio delle affamate sorelle March a beneficio di una famiglia in miseria; offre il pianoforte a Beth, e dà lavoro al timido precettore che conquisterà la mano di Meg. Alle prese con un classico conosciutissimo, sfruttato ampiamente anche per il piccolo schermo, Gerwig ne include tutti i greatest hits (il romanzo bruciato di Jo, il ghiaccio dello stagno che si apre sotto i pattini di Amy, la stoffa che Meg non può permettersi, il teatrino delle sorelle, la proposta di nozze di Laurie, il ballo, il terribile vangelo di Zia March…) senza aver bisogno di indugiare troppo sui dettagli. Ma la velocità che imprime al film, e il dinamismo dell’andirivieni temporale, sono appesantiti da uno sfoggio di valori di produzione che spesso ricorda una vetrina natalizia troppo piena, dalla recitazione sempre un po’ sopra le righe e da una sceneggiatura a cui manca l’aria.
PERSINO la versione hollywoodiana del 1994 sembrava maggiormente in sintonia con il mix di femminismo, trascendentalismo poetico e austerità puritana di Alcott. Molto amato dalla critica americana, questo Piccole donne, grazie alla sua dimensione metalinguistica, è stato definito da alcuni un adattamento di rivoluzionaria modernità. Sicuramente è un film che ben si inquadra in un clima culturale senza sfumature come questo. Il che però non vuol dire che sia moderno.

 

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