INTERNAZIONALE

Conte invoca i caschi blu dell’Onu. Erdogan: «Forse, come osservatori»

VERTICE IN TURCHIA
ANDREA COLOMBOlibia/italia

È una doppia sfida quella di Giuseppe Conte, per far fare passi avanti concreti alla crisi libica, che tocca l'Italia da vicinissimo, ma anche, e per certi versi soprattutto, per dimostrare che l'Italia gioca ancora un ruolo centrale, se non centralissimo, sul teatro nel quale sino a qualche anno fa era protagonista assoluta. I due fronti sono naturalmente intrecciati.
Ieri è stata la giornata chiave sul palcoscenico internazionale. Oggi lo sarà su quello interno, con la riunione congiunta di maggioranza e opposizione in attesa del discorso di domani in Parlamento del ministro degli Esteri Di Maio.
L'INCONTRO CON ERDOGAN registra piena convergenza, salvo particolari per nulla secondari. «Mi auguro un cessate il fuoco permanente al più presto», afferma il premier turco e l'italiano duetta cercando di fare spazio a un maggior ruolo dell'Europa e dell'Onu: «Il cessate il fuoco è solo un primo passo e non si deve cantar vittoria. Può risultare molto precario se non inserito in uno sforzo della comunità internazionale per garantire stabilità alla Libia». Quindi entrambi i premier freschi di colloquio sottolineano l'importanza della Conferenza di Berlino, prevista per il 19. Ma su come debba realizzarsi l'impegno internazionale gli accenti sono sensibilmente diversi. Per Conte un percorso «sotto l'egida dell'Onu» già esiste e non è affatto escluso che passi per il dispiegamento «di un gruppo di interposizione». Il sultano si sbilancia molto di meno: «Può esserci la probabilità della presenza dell'Onu». Però, sia chiaro, «da osservatori».
PRIMA DI VOLARE AL CAIRO, dove oggi incontrerà al Sisi per parlare di Libia ma anche del caso Regeni, il premier italiano parla anche della polemiche interne, in particolare della pioggia di critiche e a volte di derisioni aperte diluviate sul governo dopo la Caporetto diplomatica del mancato incontro con Serraj: «Invito tutti a evitare polemiche di piccolo cabotaggio. Non si può misurare il ruolo di un Paese su singoli episodi e dire, come fanno autorevoli commentatori, che avrei teso quasi un tranello a Serraj per farlo incontrare con Haftar significa non conoscere il dossier libico: mai concepita una cosa simile».
IN EFFETTI È IMPOSSIBILE credere a una simile ingenuità da parte del capo del governo italiano. Anche ieri Serraj ha rifiutato ogni ipotesi di incontro diretto con il ribelle Haftar e sperare di metterli intorno allo stesso tavolo con la tattica del fatto compiuto sarebbe stato folle. Molto più probabilmente il pasticcio è stato creato dalla competizione e dai reciproci sgambetti del funzionariato di palazzo Chigi e di quello degli Esteri.
Il risultato comunque non cambia ed è quella sensazione di inconsistenza dell'Italia alla quale sia Di Maio che Conte, ciascuno a modo proprio e secondo i codici comunicativi preferiti, stanno cercando da giorni di porre riparo. «Rivendichiamo il ruolo e il primato di facilitatori della pace. Saremo estromessi dalla prima linea? No». È la linea che Conte difenderà stasera nella riunione congiunta con maggioranza e opposizione, alla ricerca di una «unità nazionale» che appare in realtà del tutto fuori portata. Convocato per la settimana scorsa per discutere sia della crisi in Libia che di quella con l'Iran e poi rinviato sino a oggi, provocando l'ira e gli insulti dell'opposizione, nel vertice di oggi la maggioranza assicurerà pieno sostegno alla posizione del governo, quella dei «facilitatori della pace» e ne riconoscerà l'indispensabile funzione, come verrà poi ripetuto, con toni ancora più trionfalistici, da Di Maio in aula domani.
L'OPPOSIZIONE, AL CONTRARIO, segnalerà l'inconsistenza della posizione italiana ma è improbabile che si arrivi anche al nodo concreto, quello delle missioni. Ieri Conte è stato infatti molto vago: «Ci manteniamo assolutamente flessibili. In un momento di tensione non si prendono decisioni avventate. Valuteremo la possibilità di un maggiore impegno se e quando si creeranno le condizioni».

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