POLITICA

Piersanti Mattarella, 40 anni dopo il ricordo e ancora le indagini

Ieri la cerimonia a Palermo alla presenza del fratello presidente. Si fa vivo Fioravanti: rispondere all’invito a collaborare? Ci penso
ALFREDO MARSALAITALIA/palermo

Quando gli investigatori le mostrarono la foto, Irma Chiazzese non ebbe dubbi: «Sì, è lui». Quegli occhi di ghiaccio, per la moglie di Piersanti Mattarella erano gli stessi che vide quel giorno, il 6 gennaio del 1980, sparare al marito mentre stavano per mettersi in auto per andare a messa. Ma la sua testimonianza, come quella di altri, non fu ritenuta attendibile dai giudici nel processo: così Giusva Fioravanti, l’ex terrorista nero, uscì dall’indagine. A distanza di 40 anni dall’assassinio dell’allora presidente della Regione siciliana, considerato l’erede morale di Aldo Moro, Fioravanti si rifà vivo. E rispondendo al magistrato Roberto Tartaglia, consulente della commissione Antimafia, che lo ha invitato a dire quel che sa, ammicca: «Mi è sembrato un appello molto garbato, molto giusto nei toni e anche nella sostanza. Sto valutando se esiste un modo altrettanto giusto e garbato per rispondergli. Ci devo ancora pensare: sono favorevole alla stessa collaborazione che diedi a Falcone a suo tempo».
Fu proprio Giovanni Falcone a ipotizzare un ruolo dei terroristi neri nel delitto Mattarella anche perché in quella fase storica a Palermo Fioravanti e il suo gruppo avevano stretti legami con il gruppo di Terza posizione. L’ex Nar in quei giorni sarebbe stato ospite nell’abitazione di un esponente di Terza posizione, vicino alla casa di Mattarella. Due anni fa, in un covo di estremisti neri a Palermo fu trovata un pezzo della targa usata nell’auto dai killer del leader siciliano della Dc: il ritrovamento, assieme ad un’altra scoperta fatta a Torino in un ex covo dei Nar, portò la procura di Palermo ad aprire un nuovo fascicolo sull’omicidio Mattarella, per il quale è stato condannato il gotha della Cupola mafiosa come mandante, ma non si conoscono gli esecutori materiali. «Quel giorno non ero a Palermo», si smarca ora Fioravanti, che minimizza il ruolo dei «neri»: «Questa pista nasce in origine come ’strategia della confusione’ già nel processo per la strage di Bologna. Serviva per evidenziare un tipo di criminale. Il processo per la strage di Bologna si basava su una tripla impostazione: Fioravanti amico della P2 per conto della P2 avrebbe ucciso Mino Pecorelli. Fioravanti amico della mafia e di Andreotti per conto della mafia e di Andreotti avrebbe ucciso Mattarella. Fioravanti amico degli americani per gli americani ha fatto l’attentato a Bologna».
Spetta ai magistrati di Palermo approfondire questa pista che Falcone riteneva percorribile, anche se sono trascorsi ben 40 anni. Intanto, familiari e istituzioni mantengono alta la memoria di Piersanti Mattarella, sostenitore dell’alleanza tra Dc e Pci anche in Sicilia per scardinare un sistema di potere affaristico-mafioso che imperversava in quelli anni, con l’imbarazzante presenza di Vito Ciancimino nel partito e l’ala accondiscendete di Salvo Lima, braccio destro di Andreotti nell’isola. Ieri, è stato ricordato per l’intera giornata a Palermo e a Castellammare del Golfo (Tp), città d’origine dei Mattarella. «È stato un eversivo, un resistente in un tempo in cui la mafia governava», dice il sindaco Leoluca Orlando che fu consulente giuridico di Piersanti Mattarella, cattolico democratico praticante, che applicava al suo agire politico rigore morale e civile. L’intero mondo politico gli ha reso omaggio, ergendolo a simbolo di quella buona politica che non si piega al sistema di potere e che combatte gli intrecci affaristico-mafiosi senza compromessi e a viso aperto. «Oggi possiamo dire tutti insieme che Piersanti ha compiuto fino in fondo la propria missione, che se a Palermo il sindaco, il magistrato, il giornalista, le istituzioni non hanno il volto della mafia lo si deve a anche lui», ha affermato Leoluca Orlando, che ha intitolato a Piersanti Mattarella il giardino Inglese, polmone verde della città.
Ma anche se Palermo e la Sicilia dopo la lunga stagione dei delitti eccellenti sono cambiate, il ministro per il Mezzogiorno Giuseppe Provenzano, ha messo tutti in guardia: «La mafia che ha voluto ucciderlo non ha vinto, eppure non ha nemmeno perso, perché quella riforma profonda delle istituzioni che Mattarella voleva realizzare in Sicilia, e di cui c’è bisogno in tutto il Paese, è un lavoro che ancora deve essere portato a compimento: le ragioni per cui è stato ucciso sono ancora attuali».
Per la prima volta tra le corone - erano 5 accanto alla targa che ricorda il delitto in via Libertà - quella del governo è stata avvolta nel tricolore con la scritta in evidenza. Un gesto simbolico apprezzato dai familiari con i figli di Piersanti, Maria e Bernardo che, assieme a nipoti e altri parenti, hanno partecipato alla cerimonia nel luogo dell’eccidio e alla seduta solenne a palazzo Reale, dove anche il capo dello Stato, Sergio Mattarella ha seguito la celebrazione. Piersanti Mattarella era «il presidente che voleva la Regione con le carte in regola» e «se gli fosse stato consentito di continuare la sua opera politica e amministrativa probabilmente, il Meridione e la Sicilia non si troverebbero nelle attuali condizioni di isolamento sociale ed economico», ha osservato il presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it