INTERNAZIONALE

Baghdad caccia i marinesChe ora si «riposizionano»

IL PARLAMENTO: VIOLATO L’ACCORDO DI COOPERAZIONE
CHIARA CRUCIATIiraq/usa

Lo aveva annunciato Obama, per metterlo in stand by con l’avanzata dello Stato islamico. Trump lo aveva promesso in campagna elettorale. Ora il ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq potrebbe realizzarsi nel modo meno atteso: su ordine del governo di Baghdad, segnando – potenzialmente – la fine di una presenza quasi ventennale nel paese. Una vittoria indiretta di Teheran, l’ultimo colpo del generale Soleimani. Una decisione che i vertici militari Usa in Iraq avrebbero già accettato in una lettera firmata ieri dal generale William H Seely III, in cui si annuncia nel rispetto della «sovranità irachena» il «riposizionamento nei prossimi giorni delle truppe Usa», in vista di un successivo ritiro.
IL PRIMO PASSO lo ha compiuto domenica scorsa il parlamento iracheno, votando una richiesta non vincolante all’esecutivo del dimissionario (da due mesi) premier Abdul Mahdi: via i marines dall’Iraq per palese violazione dei termini dell’accordo di cooperazione militare. Dovevano addestrare i soldati locali contro l’Isis, non violare la sovranità dello Stato uccidendo un alleato. Per ora il ritiro è solo teorico, in attesa di un intervento governativo che cancelli l’accordo.
Intervento che non dovrebbe tardare: è stato Abdul Mahdi a promuovere l’iniziativa parlamentare, con la sola assenza di partiti curdi e sunniti, e ieri ha invitato l’ambasciatore Usa Tueller a collaborare nella realizzazione del ritiro.
MA I PRIMI EFFETTI DELLA RABBIA irachena si vedono già, sotto forma di restrizioni al movimento imposte alle forze della coalizione internazionale: «Le funzioni della coalizione saranno limitate al ruolo di consultazione, consegna di armamenti e addestramento – ha detto il capo di stato maggiore iracheno Abdul Karim Khalaf, citato dalla Tass – Le loro forze armate se ne andranno. Da ora gli è proibito qualsiasi movimento, via terra e via aerea».
Cinque le basi americane in Iraq, secondo la mappa fornita dal Congresso, 5.200 i militari. Il cui destino è in bilico, insieme a quelli della Nato, che ieri si riuniva a Bruxelles d’urgenza: «Al momento abbiamo sospeso il nostro addestramento», si legge nella nota del segretario generale Jens Stoltenberg.
IL PRESIDENTE TRUMP, come fa da giorni, si è scatenato con furia contro quello che credeva alleato fedele: «Se l’Iraq ci chiede di andarcene in modo non amichevole – ha detto dall’Air Force One – lo puniremo con sanzioni come non le ha mai viste. Quelle iraniane al confronto sembreranno miti».
L’iniziativa irachena brucia, le sanzioni a Trump non bastano. Vuole indietro i dollari americani («Abbiamo una base aerea estremamente costosa laggiù. Costa miliardi di dollari. Non ce ne andremo finché non la pagheranno», ha detto dimenticando il denaro accumulato da compagnie petrolifere e belliche durante e dopo l’occupazione). La ragione di tanta rabbia la spiega Qais al-Khazali, capo della milizia sciita filo-iraniana Asaib ahl al-Haq, ripreso dal New York Times: «Gli Stati uniti hanno un solo colore, quello militare, è lì che spendono i loro soldi. Ma l’Iran ha tanti colori, in cultura, politica, religione».
In mezzo a mosse unilaterali, tentativi di salvare vite politiche (a partire da Abdul Mahdi), terremoti di alleanze, c’è il popolo iracheno. Il più preoccupato dall’escalation. Ai primi giorni di smarrimento seguono rinnovate manifestazioni, parte di quella mobilitazione popolare che dal primo ottobre sta cambiando il volto dell’Iraq. Domenica la protesta ha intonato slogan precisi: l’Iraq non sarà il campo di battaglia della guerra Usa-Iran, non ne pagherà il prezzo. Risuonavano a Baghdad, in piazza Tahrir, le parole «Tenete la vostra guerra fuori da qui».
A SUD, A DIWANIYA, in centinaia hanno gridato «No all’Iran, no all’America» e a Nassiriya si sono scontrati i partecipanti a una processione per Soleimani e al-Muhandis (il comandante iracheno delle Kataib Hezbollah, ucciso nello stesso attacco) e i manifestanti che volevano impedirla. Tre i feriti tra i secondi, scrive l’Afp, i sostenitori iraniani hanno sparato. Pietre su una processione per Soleimani anche a Bassora.

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