VISIONI

Il mistero degli uccelli cadenti

La militanza, le librerie, il cielo di Parigi. Quali sono gli oggetti che restano dal paesaggio del secolo scorso?
EUGENIO RENZIITALIA

Qualche giorno fa, annunciavamo la scomparsa del critico del cinema francese Jean Douchet. Uno degli episodi che non si stancava mai di raccontare ci riporta al 1963. Berlino era divisa da un muro. Kennedy era alla Casa bianca. Castro a Cuba. Douchet si trovava invece a Cannes per la prima mondiale de Gli uccelli, quarantottesimo lungometraggio di Alfred Hitchcock. Alla conferenza stampa, la domanda sulla bocca di tutti è: perché gli uccelli attaccano? Il cineasta inglese diventato hollywoodiano evita di rispondere. Allora i giornalisti provano ad incalzarlo. Forse gli uccelli sono una metafora dell’arma nucleare? Il film non è per caso un’allegoria della guerra fredda? Qualcuno arriva a suggerire che il ciuffo di Rod Taylor somiglia a quello del giovane e avvenente inquilino della casa bianca. Hitchcock non smentisce. Soprattutto, non conferma. Ha l’aria infastidita.
DOUCHET prende la parola. Le interpretazioni politiche dei miei colleghi sono certo molto suggestive, dice, ma a mio avviso non colgono nel segno un film che è tutto incentrato sul desiderio femminile e sulla castrazione materna. Il regista lo guarda compiaciuto e gli rivolge un segno britannico di assentimento. Poi si china verso la sua assistente che prontamente va a comunicare a Douchet che il maestro è disposto a concedere un’intervista esclusiva sul film dopo la conferenza.
Il nostro primo «lungo addio» parte anch’esso da un film di uccelli. Quelli che nel 2017 hanno dato il titolo al secondo lungometraggio dell’autrice francese Elise Girard sono dei «drôles d’oiseaux», uccelli curiosi, strani, buffi, che non attaccano. Cadono a pera dal cielo bigio di Parigi. Stramazzano al suolo o fanno pluf nella Senna come pietre. Eppure la domanda resta la stessa: perché gli uccelli si comportano così?
Mentre lo spettatore s’interroga, i parigini continuano la loro vita. Come se nulla fosse. Non perché il fatto non li colpisca. Ma perché tutti sono presi da problemi forse meno impressionanti ma più urgenti o più semplici da risolvere, come portare i figli a scuola e sbrinare il frigo. Ora, molti film di genere cominciano con una strana e improvvisa ribellione della natura alle proprie leggi.
È COSÌ, ad esempio, nella divertente commedia gore di Jim Jarmusch, I morti non muoiono, la quale comincia anch’essa con uno strano caso di pennuti. Il colpo di genio di Elise Girard consiste nell'aver preso in prestito quest’elemento tipico del genere apocalittico e di averlo spostato in un territorio totalmente diverso. Il film è infatti una sorta di melodramma politico, in cui un uomo del secolo scorso e una ragazza nata l’anno della caduta del muro vivono una storia d’amore, anch’essa improbabile, strana e buffa. Lui è ispirato a Giangiacomo Feltrinelli, l’industriale ed editore guerrigliero altresì noto come il compagno Osvaldo. Nella realtà morto su un traliccio mentre preparava un ordigno esplosivo nel 1971, ma al quale Elise Girard concede un prolungamento di vita nella finzione (grazie ad un ottimo Jean Sorel). Il suo Giangiacomo è sopravvissuto alla bomba e si fa chiamare Georges, si è rifugiato a Parigi, dove vive sotterrato in una libreria che non vende libri. Fino a che una ragazza, a sua volta a disagio nel il mondo, entra a far parte della sua vita. Il film non avrebbe senso se non ci fosse intorno ai due l’ambiente moribondo della Parigi contemporanea. Mavie (Lolita Chammah) si aggira per le strade dell’antica capitale del ventesimo secolo e di cui non resta che l’immagine pubblicitaria.
Il mondo del capitale trionfante tutt’intorno a lei è, se non defunto, un morto che si ignora al punto da pavoneggiare la propria vitalità. E la domanda che il film sembra far emergere dall’incontro tra Mavie e Georges è se il disastro del capitalismo mondializzato rappresenta il momento in cui chi ne ha combattuto l’insorgenza riprende vita oppure resta sepolto sotto le macerie del nemico. Una domanda alquanto urgente, come prova il fatto che che ogni qual volta sorgono movimenti politici nuovi, i Gilet jaunes l’anno passato in Francia, le Sardine oggi in Italia, chi li osserva si chiede per prima cosa se somigliano o meno a quelli storici.
CHE COSA HA tutto questo a vedere con gli uccelli? Non vorremmo fare come i colleghi di Douchet, che insistevano a voler schiacciare il film di Hitchcock sull’attualità politica e sociale del tempo. Non tanto perché quell'interpretazione fosse sbagliata (non più, non meno di quella psicoanalitica di Douchet). Ma perché il punto politico degli uccelli, sia di Hitchcock che di Girard, è proprio nell’essere animali abbastanza strani da tenere insieme inquietudini assai diverse. La forza politica di Drôle d’oiseaux non sta in fatti nel denunciare la morte degli uccelli. Ma nel fatto che, quando questi cadono lo spettatore può pensare a cose molto diverse tra loro, più o meno astratte, più o meno importanti come la fine delle librerie o delle sale cinematografiche, e o ancora la decomposizione della sinistra fino al senso più letterale e superficiale di queste curiose cadute: la scomparsa degli uccelli dai cieli francesi (meno 50% in una sola generazione).
PRIMA DI MORIRE, Pasolini aveva annunciato la scomparsa delle lucciole, affermando come solo un poeta poteva, l’unità della natura e dell’uomo. Le lucciole sono infatti un piccolo animale fragilissimo che l’inquinamento ha fatto sparire dalle nostre campagne. Sono anche il proletariato periferico che si oppone con la propria moltitudine all’abbaglio del potere dominante.
La forza di quell’immagine pasoliniana sta nel non essere una metafora, ma un’uguaglianza, piuttosto inedita per il tempo, tra l’ambiente naturale e l’ambiente sociale. Il film di Elise Girard ha questa stessa forza. Mette il segno uguale ad una serie di oggetti disparati costitutivi del paesaggio del secolo scorso: i militanti politici, gli uccelli... E si chiede, come il filosofo Georges Didi-Huberman in un libro che apre il nostro «decennio edipico» (Come le lucciole. Una politica della sopravvivenza, Bollati Boringhieri) se queste lucciole sono veramente sparite oppure se siamo noi che non riusciamo più a vederle.
1.continua

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