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Per cambiare serve una forza di sinistra che non imiti il Pd

Sinistra
PAOLO FAVILLIITALIA

La sinistra è in grave difficoltà in tutti i grandi paesi dell’Europa occidentale, ma è l’Italia ad essere l’unico paese «senza». Il termine «sinistra», usato ormai generalmente al di fuori di ogni determinazione specifica, rappresenta una rendita di posizione. Se c’è una «destra», e c’è, pericolosa e con tratti di fascismo, ciò che vi si oppone deve essere, simmetricamente, una «sinistra».
La situazione è paradossale: a fare argine a questo tipo di destra si trovano forze responsabili del clima da cui tale forza politica ha tratto e continua a trarre alimento. Il nuovo governo è, per ora, certamente un argine. Non ci sono segni però, anzi non c’è possibilità, di una inversione delle politiche economico-sociali che hanno creato l’humus più adatto alla crescita rigogliosa di questa nostra destra.
Il paese continua ad essere stretto nella gabbia di un neoliberismo che la sinistra-per-simmetria dagli anni Novanta del Novecento ha contribuito, e da protagonista, a costruire e dalla quale non si pone il problema di uscire.
Sulle caratteristiche strutturali di questa sinistra-per-simmetria, e proprio perché strutturali e quindi di lungo periodo difficilmente passibili di rovesciamento, esiste ormai una vasta letteratura economica, sociologica, storica. Indagini sui mutamenti dei ceti dirigenti, sulla loro cultura politica ed economica, sui loro riferimenti sociali. Naturalmente si può dissentire, ma opponendo analisi ad analisi, storia a storia, realtà effettuale a realtà effettuale, non attraverso retoriche politicistiche.
«Siamo sempre partiti dall’estenuante ricerca del soggetto politico. Stavolta partiamo dall’oggetto»: ha affermato recentemente un deputato di Leu che per un periodo è stato impegnato nella costruzione di un soggetto politico di sinistra non-per-simmetria (il manifesto,12/10). Il problema è che la definizione di quell’«oggetto», se si tratta di un oggetto davvero significante, non è separabile dai soggetti che devono tradurlo in atto. Ora oggetti del genere non sono particolarmente sensibili a quella che, con grande enfasi, viene chiamata «fase politica del tutto nuova». Di fasi «politiche del tutto nuove» in Italia ce n’è una ogni pochi mesi. Se cade l’attuale governo quale sarà la nuova fase sulla base della quale dovremo ripensare i nostri criteri analitici? Una sinistra non-per-simmetria deve ragionare, oggi, in termini di una diversa fase.
Molto più modestamente il deputato di Leu intende rimuovere la «pregiudiziale» nei confronti del Pd.
Credo che il termine «pregiudiziale» abbia senso politico molto limitato e riguardi solo casi estremi come l’impossibilità di qualsiasi tipo di rapporto con la destra dei nostri tempi. Contro questa destra sono possibili «alleanze» senza pregiudiziali, alleanze tattiche che però lascino impregiudicate prospettive strategiche che storia e fatti rendono difficilmente componibili.
La vicenda attuale del Mes è un indicatore assai rilevante della non compatibilità sui «fondamenti». Va dato atto alla serietà ed al rigore del ministro Gualtieri di aver agito in perfetta coerenza con la funzione sempre esercitata dal suo partito nella determinazione delle regole economiche dell’Ue da Maastricht in poi. Esattamente come il Fiscal compact, a cui il Mes, del resto, è strettamente collegato, il meccanismo introduce nella legislazione nazionale (il Fiscal compact addirittura nella Costituzione) una teoria economica che s’impone per via politica.
Le alleanze poi si fanno tra forze e se si rinuncia a lavorare perché la sinistra non-per-simmetria diventi una forza, si assume il ruolo di portatori d’acqua alle strategie altrui. Si entra in dimensione corpuscolare nel «nuovo bipolarismo chiaro» che, come dice Bettini, «sta di nuovo crescendo». E per facilitarne la crescita, intanto, il Pd si oppone a qualsiasi forma di vero proporzionalismo elettorale.
Una contesa elettorale, quindi, tutta interna alla sfera neoliberale di cui nessuno dei due campi mette in discussione la naturalità. Con il vantaggio che la demagogia salviniana può servirsi in tutta libertà, seppure in maniera becera, di formulazioni propagandistiche che invece appaiono richiamare una critica di quei fondamenti.

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