CULTURA

Una ricerca ineludibile, oltre i confini dell’esistenza materiale

POESIA
NICCOLÒ NISIVOCCIAITALIA

Le Edizioni Le Farfalle di Angelo Scandurra hanno appena pubblicato il nuovo lavoro di Franco Marcoaldi: Il padre, la madre (pp. 48, euro 15). Si tratta di un «poemetto per coro e voce recitante», come lo definisce lo stesso Marcoaldi, nel quale alle parole si accompagnano i disegni di Marilù Eustachio, che infatti appare come coautrice tout court.
PAROLE E DISEGNI in equilibrio paritario: dove le parole hanno consistenza quasi di musica, come sempre nella poesia di Marcoaldi, e dove i disegni, per quanto figurativi, sono da parte loro quasi più segni che figure - nella loro levità, così eterea da sfiorare la dissolvenza. Le une, le parole musicali di Marcoaldi, parlano con le altre, le figure quasi in dissolvenza della Eustachio, in un dialogo di suggestioni ed evocazioni reciproche (come sottolinea anche Nadia Fusini nella nota introduttiva).
Il padre, la madre potrebbe essere descritto anche come una lunga preghiera, nell’accezione più laica ma insieme più trascendente che possa essere assegnata al concetto di preghiera: quella di ricerca ineludibile, oltre i confini dell’esistenza materiale, di un bagliore, di un respiro, di un ordine nei pensieri, di un’origine, di qualcuno o qualcosa cui poter dire «tu», pur nel mistero. Qui sono proprio il «padre» e la «madre» il duplice «tu» al quale si rivolge quel simbolico «figlio» espresso dalla voce recitante, cui fanno da controcanto le osservazioni del coro, la cui funzione sembra quella di dare fiato all’invocazione, di volta in volta, al contempo incalzandola. È nel «padre» e nella «madre» che il «figlio» cerca quel bagliore che possa dare senso alla sua esistenza; ma se simbolico è il «figlio», nella sua invocazione, altrettanto lo sono il «padre» e la «madre», che non sono sulla scena in carne e ossa bensì lo sono solo nella memoria.
QUESTO È UN TEMA ricorrente, nella poetica di Marcoaldi: il colloquio ininterrotto che ciascuno di noi, nel proprio parlamento interiore, intrattiene con le presenze significative della propria vita, vive o morte che siano. Forse anzi in questo caso Marcoaldi è esplicito come non mai: «io non sono io», arriva ad affermare il «figlio», «ma quelli/che mi sono stati e che mi stanno/adesso intorno». E quale presenza è più significativa di quella del «padre» e della «madre»? Anche se da lontano, anche se solo nel ricordo (ed è peraltro questa presenza incorporea a dare ragione più di ogni altra cosa, probabilmente, della dissolvenza delle figure della Eustachio).
È IL «PADRE» L’INTERLOCUTORE principale del «figlio», il quale lo ammette chiaramente: «Amare lei, perché ci si rispecchia in lui:/un labirinto che sconcerta e che confonde». È quindi al «padre», più che alla «madre», che il «figlio» indirizza il suo «desiderio di un’essenziale/appartenenza»; è della sua Legge che avverte il bisogno, per dare quiete a questo desiderio. Ma attenzione: il «padre» di Marcoaldi non è il padre dimissionario, omissivo di cui parla Luigi Zoja nel suo Il gesto di Ettore (Bollati Boringhieri) così come il «figlio» non è il «figlio-Edipo» né il «figlio-Narciso» di cui parla Massimo Recalcati. Il «padre» di Marcoaldi non ha abdicato alla propria autorità simbolica, alla propria incarnazione della Legge; né il «figlio» sembra voler disconoscerlo in quanto tale. Semmai il «figlio» di Marcoaldi potrebbe far pensare a quel modello che lo stesso Recalcati riconduce a Telemaco, vale a dire al «figlio» che appunto la Legge la invoca, piuttosto che volerla trasgredire. E tuttavia il «figlio» di Marcoaldi sembra immune da quella malinconia dalla quale invece rischia di farsi pervadere Telemaco, derivante dall’attesa infinita di qualcuno o qualcosa che non arriverà mai. Il «figlio» di Marcoaldi è consapevole del contrario: soltanto l’assenza del «padre» potrà essere per lui «vera presenza», e soltanto nel momento in cui lo avrà perso potrà dire di averlo ritrovato. Non esiste una venuta da attendere, ma un’eredità da conservare.
LE PAROLE CONCLUSIVE sono del coro: «Abba Mame Abba Mame», «Padre Madre Padre Madre». Ed è un’invocazione che suona finalmente pacificata, avendo trovato ciascuno la propria identità negli altri: il «padre» e la «madre» nel gesto di concedere la libertà al figlio, di consegnarlo alla Vita, il «figlio» nel riceverne la testimonianza.

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