SOCIETA

Genova batte Facebook, in piazza sono ottomila

LA PARTECIPAZIONE SUL SOCIAL SI FERMAVA A 5MILA
GIULIA MIETTAitalia/genova

«Voi non avete fermato il vento, gli avete fatto perdere tempo». Non potevano mancare le parole di Fabrizio De André, quelle della versione originale della Canzone del Maggio, ma anche Bella Ciao, Ray Charles e l’inno di Mameli nella variegata, inedita, affollata piazza genovese delle sardine. Ottomila persone si sono date appuntamento a piazza De Ferrari per dire no «al dilagare dei discorsi di odio, alla propaganda politica delle falsità, al populismo, al razzismo e alla discriminazione - hanno spiegato gli organizzatori - per riaffermare che i diritti sono di tutti, che siamo liberi, democratici, antifascisti». Contro la politica di Salvini, ma anche contro alcune direzioni prese dalla giunta del capoluogo ligure, a partire dalle multe agli immigrati e i senza fissa dimora che chiedono l’elemosina.
ALLA MANIFESTAZIONE dichiaratamente apartitica hanno partecipato studenti e studentesse, operai, avvocati e pensionati, uomini e donne di ogni età e nazionalità, bambini, esponenti della società civile, del volontariato, esponenti di partiti ed ex sindaci di centrosinistra, ma soprattutto volti forse mai visti in piazza tanto che il portavoce del coordinamento delle sardine di Genova, Roberto Revelli, lavoratore nell’ambito del sociale, non era mai emerso come figura politica. Tutti o quasi con i loro manifesti di ispirazione ittica, cartoncini colorati, fotocopie, palloncini, e poi coperte termiche, striscioni con le scritte «Genova non abbocca», «I pesci non chiudono gli occhi», «Genova non si lega» o la più vernacolare «Più sardine meno beline». «Il nostro unico slogan oggi è la Costituzione - hanno scandito dal palco gli organizzatori - i diritti umani sono indivisibili, o valgono per tutti o non valgono per nessuno, non possiamo pensare di toglierli ad alcune categorie di persone e pensare che le altre stiano meglio, è esattamente il contrario». In piazza c’è anche don Paolo Farinella, prete simbolo dell’accoglienza in città, che aveva ricoperto la porta della sua chiesa a San Torpete con le coperte termiche che vengono date ai migranti salvati sui barconi: «Non voglio annegare in un barile di sardine - dice alla folla - ma voglio che le sardine anneghino tutto quello che ci sta impedendo di essere un Paese civile». E ci sono le “sardine del Tigullio”, in centinaia sono arrivate dalla riviera di levante, così come dalle periferie e dall’entroterra.
IL GRANDE PALLONE delle sardine in questa parte d’Italia, così come altrove, si è formato nel giro di poche settimane, attraverso la potenza dei social network. Nel giro di un paio di giorni dalla creazione dell’evento, su Facebook, le promesse di partecipazione avevano superato quota 5mila, migliaia i “cuori” su Instagram, ma la presenza a De Ferrari, dove erano presenti polizia e digos, è probabilmente andata oltre le aspettative dei promotori.
NELL’ULTIMA SETTIMANA il quartier generale degli organizzatori è stato il centro Banchi, uno spazio culturale all’interno di una parrocchia del centro storico. «Avremmo voluto chiamarci Ancioe, acciughe, perché a Genova sardine non si usa - ha detto Revelli - ma abbiamo preferito dare un ulteriore segnale di unità con il movimento a livello nazionale». Ed era importante. Perché Genova è la prima città sopra i 500mila abitanti dove le sardine sono scese in piazza. «Siamo qui per difendere i diritti di tutti - si è sentito dire al megafono - a chiedere che le persone non debbano più morire in mare quando scappano da guerre, povertà e persecuzioni, a chiedere di aprire corridoi umanitari subito, che le persone che nascono e studiano nel nostro territorio siano, come sono, italiani, vogliamo che il diritto all’istruzione, alla sanità, al lavoro, siano per tutti, per tutti, nessuno escluso e siamo qua perché noi non escludiamo nessuno, perché siamo liberi, democratici, e antifascisti».

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