COMMENTO

Nella Regione dell’Ilva serve la ricerca pubblica

Riconversione
ROBERTO ROMANOITALIA/taranto

Sebbene l’attenzione di opinionisti e attori politico-sociali sia piegata sulle sorti dell’Ilva, la Puglia è una regione che dovrebbe costruire un ambiente economico e sociale adeguato per affrontare le sfide del futuro. La dicotomia tra riscatto ambientale e riscatto del lavoro condiziona la discussione. Si tratta, invece, di due diritti positivi (di II e III generazione, N. Bobbio).
Due diritti che necessitano di una progettualità inedita (pubblica) tesa a ricostruire le ragioni tecno-economiche di uno sviluppo adeguato e socialmente sostenibile. Indiscutibilmente è necessaria una programmazione di struttura dell’Ilva, la quale deve essere commisurata alla domanda quali-quantitativa di acciaio potenziale del Paese. 
Sebbene l’intervento sia obbligato, la riconversione di un sito produttivo è un esercizio estremamente complesso e, soprattutto, non avrebbe successo se nel contempo l’area interessata (Puglia) non riuscisse a delineare delle attività produttive capaci di integrare il valore aggiunto proveniente dalla siderurgia. 
Riprendendo alcune esperienze di riconversione dell’industria bellica, la riflessione da avviare è la seguente: riconversione dentro l’impresa, oppure riconversione fuori dall’impresa? L’industria armigera nazionale non è stata riconvertita, ma alcune esperienze possono tornare utili, almeno per quelle che ho seguito come consulente della Regionale Lombardia dei primi anni novanta. 
Quella esperienza ha maturato la necessità di riconvertire un territorio, in particolare Varese, troppo condizionato dal settore aeronautico, cercando di industrializzare la ricerca e sviluppo proveniente dallo stesso settore. In effetti qualche risultato è stato ottenuto. Una parte delle tecniche aeronautiche sono diventate una opportunità per nuove attività, ridimensionando il peso di quel settore.
Il vero nodo di struttura della Puglia e di Taranto in particolare è il basso contenuto tecnologico dell’Ilva. Industrializzare la tecnica di questa società non è consigliabile. Rimane però il punto, ovvero come ricostruire un tessuto economico almeno diversificato per governare i pur necessari interventi di struttura.
Non si tratta di un puro esercizio intellettuale, piuttosto di un esercizio di programmazione dimenticato dalla policy e dalle teorie economiche mainstream anche di “sinistra”. In effetti, la Regione Puglia e Taranto fin dal 2000 hanno registrato dei tassi di crescita del Pil negativi: facendo 100 il 2000, il Pil nel 2018 è 95,8, contro i 103 dell’Italia, i 122 della Germania e i 120 della Francia. Ciò rappresenta il declino di quella regione nel consesso europeo (in realtà anche dell’Italia). Anche il Pil pro-capite segue lo stesso trend. Ma il Pil è solo un indicatore sintetico dello stato dell’economia. Osservando il valore aggiunto per lavoratore per settore tra il 2000 e il 2017 (manifattura, agricoltura, Ict e distribuzione) della stessa regione, comparata con i principali “competitori” europei, si manifesta come e quanto il declino abbia colpito in profondità tutti i settori merceologici e senza nessuna significativa discontinuità.
Ciò chiama in causa certamente i governi nazionali, ma anche i governi locali non sono esenti da colpe. Solo per offrire alcune informazioni utili, il valore aggiunto aggregato per lavoratore della Puglia e di Taranto, facendo 100 il 2000, precipita a 97 (Puglia) e 96,5 (Taranto). Considerando i settori merceologici sopra indicati, solo l’agricoltura e la manifattura migliorano (a margine) la loro posizione, passando rispettivamente da 100 a 103,4 e 100 a 109,6. Tutti gli altri settori registrano una contrazione che compromette lo sviluppo quali-quantitativo della Regione e di Taranto; il settore delle costruzioni è crollato verticalmente (passando da 100 a 52, 2010=100), quello della distribuzione passa da 100 a 79, il settore dell’Ict, considerato a torto alta tecnologia, passa da 100 a 87. 
In queste condizioni economiche non è strano osservare dei tassi di occupazione significativamente più bassi della media europea e nazionale. Inoltre, il tasso di occupazione della Puglia non registra nessun miglioramento rispetto al 2000: si passa dal 43,8% del 2000 al 44,5% del 2017. Registro che persino l’Italia ha migliorato questo tasso, seppur di poco. Lasciamo perdere Germania e Francia per non cadere nel girone della depressione. 
È necessario prevedere una diversificazione dell’attività economica per immaginare una coerente riconversione. Dall’Ilva non possiamo intercettare nessuna tecnologia coerente con lo sviluppo sostenibile. Inoltre, la spesa in ricerca e sviluppo della Puglia in rapporto al Pil è pari al solo 0,82%, purtroppo coerente con la struttura economica della regione. Sebbene bassa, è necessario utilizzarla per nuove attività economiche. In questo caso lo Stato e la Regione Puglia potrebbero industrializzare la ricerca pubblica disponibile nei settori emergenti e ad alto valore aggiunto, coniugando il livello dell’istruzione locale con una domanda di lavoro coerente. Non è un percorso semplice, ma senza adeguare la struttura economica nel suo insieme sarebbe impossibile riconvertire l’Ilva.

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