COMMENTO

Una «tregua» e una difficile coabitazione

La guerra siriana
ALBERTO NEGRIsiria/turchia/usa

Un tregua di 5 giorni (120 ore) è stata annunciata ieri notte ad Ankara dopo un incontro con Erdogan del vicepresidente Usa Mike Pence. Gli Usa aiuteranno «il ritiro ordinato dei curdi» in una fascia di sicurezza profonda 30 chilometri ma gli Stati Uniti, che si sono ritirati nei giorni scorsi dal Rojava, «non si impegneranno militarmente». Kobane, simbolo della resistenza curda al Califfato, è salva almeno secondo le parole di Pence. Nulla è stato detto della presenza delle truppe siriane e russe entrate nel Nord della Siria.
Le prime a protezione dei curdi, le seconde con compiti di «interposizione». In Siria in questi anni di tregue ne abbiamo viste tante, la maggior parte violate e assai confuse. Ma questo cessate il fuoco della Turchia in Rojava annunciato a sorpresa appariva ieri ancora tra i più sibillini e oscuri.

Gli americani parlano ufficialmente di “cessate il fuoco”, il ministro degli Esteri turco ha dichiarato che si tratta di una «pausa» nelle operazioni militari. Ma fonti di Ankara hanno anche aggiunto «di avere ottenuto quello che volevamo». Differenze lessicali non ininfluenti vista la situazione, con centinaia di morti tra i combattenti curdi e i civili e decine di migliaia di profughi.
Con l’offensiva anti-curda Erdogan aveva sbeffeggiato Trump, umiliato la Nato e l’Europa e si preparava a incontrare Putin a Sochi martedì, dopo che la Russia e le truppe di Bashar al-Assad erano scese in campo nel Nord della Siria a protezione di curdi. Ed ecco che il Reìs Erdogan ha attuato il suo colpo di teatro: una tregua di cinque giorni concordata in un incontro con il vice-presidente americano Pence e il segretario di Stato Pompeo dopo che lo stesso Erdogan qualche ora prima aveva dichiarato che non li avrebbe mai incontrati.

Insomma si è passati si è passati da un trattamento insultante dei rappresentanti americani a un’intesa: è questo dà la misura di quanto Erdogan sia imprevedibile e fuori controllo, almeno quanto il suo interlocutore Donald Trump.
A prima vista oltre che una tregua questo sembra un accordo di «coabitazione» del Rojava dove nella stessa zona o molto vicini si saranno militari turchi, forse osservatori americani e forze siriane e russe che si sono appena schierate. La questione però è tutt’altro che chiara e potremmo sbagliarci. L’unica cosa è certa è che i curdi se ne debbono andare.
«Abbiamo ottenuto quello che volevamo», hanno detto i turchi aggiungendo che le truppe di Ankara alla fine della tregua entreranno nella cosiddetta «fascia di scurezza», la safe zone. In poche parole viene resuscitato l’accordo raggiunto tempo fa da Stati uniti e Turchia, il noto «Security Mechanism» che prevedeva pattugliamenti congiunti tra militari americani turchi.
I curdi, che si erano fidati delle garanzie americane, avevano così smantellato le loro fortificazioni, ma la Turchia aveva deciso ugualmente per l’invasione accompagnata dal ritiro vergognoso dei marines.

Secondo questa ultima intesa gli Usa dovranno «aiutare il ritiro ordinato delle truppe curde». Cosa significhi in pratica non è ancora molto chiaro: gli americani torneranno sul campo con le loro truppe?
Pence sembra per il momento escluderlo.
Cosa faranno adesso le truppe di Damasco che avevano raggiunto un accordo di protezione dei curdi? E quale sarà anche la linea di azione di Putin? La Russia potrebbe restare ai margini della fascia di sicurezza come forza di interposizione. Oppure russi e siriani contribuiranno anche loro al «ritiro ordinato delle truppe curde», considerate da Ankara dei terroristi? Le due opzioni non si escludono ma hanno evidentemente una valenza diversa: Erdogan non ha nessuna intenzione per il momento di riconoscere a Damasco un droit de regard su questa area cuscinetto che lui considera territorio turco finito in mani siriane.
La Siria da questo punto di vista non lascia scampo. Appena si pensa di sedare un conflitto subito si apre un altro fronte. È la guerra mondiale a pezzi dove tregua, pausa, cessate il fuoco, non significano quasi mai pace ma la preparazione di nuovi sanguinosi capitoli.

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