VISIONI

L’ultima frontiera di Hollywood: così ti «clono» il divo. In 3 D

FANTASCIENZA
GIONA A. NAZZAROcina/usa

Clonare un divo. Un po’ come stamparsi la moneta in casa. Una roba da falsari, insomma. D’altronde, però, il potere d’acquisto del denaro è un contratto che si contrae fra le parti. Se si accetta la sua «esistenza», quindi il suo valore, il denaro diventa «valuta» e può… muoversi. Senza volere fare gli zdanovisti di ritorno, i divi sonno la valuta dello star system; il segno più evidente della società dello spettacolo (e non c’è – più – bisogno di andare a scomodare Debord e la sua massima super inflazionata).
PER CUI l’idea di fondo di Gemini Man, sdoppiare Will Smith, è una di quelle trovate più affascinanti da discutere in sede teorica che da vedere in sala. In sala ci si trova un film, che non sembra nemmeno diretto da Ang Lee, la cui sceneggiatura potrebbe stare tutta, compresi i dialoghi, in una paginetta di quaderno. La storia del killer che prima viene fregato, ovviamente all’ultimo incarico, e cui poi i suoi ex datori di lavoro danno una caccia spietata, è solo un cliché. Ang Lee, che in realtà è un cineasta estremamente interessante, non si sforza nemmeno di dissimulare il suo totale disinteresse per la vicenda scritta del suo film (che però è quella per la quale lo spettatore paga il biglietto). A lui interessa sperimentare con la HFR (High Frame Rate) ossia mettere in scena un film che spara dai 48 ai 60 fotogrammi al secondo, e vedere cosa succede. In 3D.
SU QUESTA FACCENDA della HFR (l’effetto soap che va sotto il nome di alta definizione) era già scivolato Peter Jackson. E da questo punto di vista, bisogna rilevare, la tecnologia non sembra avere fatto grandi passi in avanti. Paradossalmente, data questa super visibilità, tutto sembra come rallentato; soprattutto le scene d’azione. Invece di cercare facce nuove, si ringiovaniscono e duplicano quelle esistenti. Come a volere assolutizzare il consumo. Consumare in eterno la medesima immagine. Che per giungere a questa sconsolato risultato si sia dovuto scomodare il massimo della tecnologia contemporanea è solo una contraddizione. Gemini Man è Hollywood che si autoclona per durare in eterno e riscrivere il tempo (dell’immagine e del consumo, a propria immagine e somiglianza). E l’unica vera curiosità che il film suscita, alla fine, è sapere cosa accadrà all’immagine di Will Smith, separata dalla sua origine, che deve affrontare il mondo. Da sola. In questo senso Gemini Man inizia sul serio quando finisce. Ma anche questo è solo un cruccio accademico. Teorico.

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