POLITICA

Renzi allenta la tensione e prova rifarsi l’immagine

Il leader di Iv a Conte: «Non siamo contro il governo ma contro le tasse»
ANDREA COLOMBOITALIA/ROMA

La parola d’ordine, nelle file renziane, è abbassare la tensione. Non si uniforma Teresa Bellanova, tipo impetuoso, che risponde a brutto muso alla minaccia consegnata da Conte alla stampa: «Se continua così il governo cade». La ministra dell’Agricoltura non sembra intimidita: «Questo governo è nato grazie a Renzi e grazie a Renzi Conte fa il premier». Giusto per rinfrescare la memoria. Poi però Bellanova rassicura il presidente del consiglio: «So che ha avuto un’esperienza traumatica ma noi non siamo della stessa pasta di Salvini».
MA I TONI DAVVERO rasserenanti li usa proprio Renzi: «Noi siamo contro l’aumento delle tasse, non contro il governo. Noi studiamo le carte e le proposte. Troviamo coperture». Subito dopo, il leader di Italia Viva annuncia l’arrivo di una nuova senatrice, Annamaria Parente, dalle file del Pd. Nei prossimi giorni ci dovrebbe essere il «chiarimento» tra Giuseppe Conte e Italia viva. Non con l’ex premier però, ma con una delegazione composta dalla stessa Bellanova e da Ettore Rosato. Non bisogna pensare che i toni felpati implichino la fine delle ostilità. Non a caso, in serata, il vicecapogruppo di Iv Luigi Marattin torna alla carica: «Nel governo ci sono ancora idee diverse. C’è chi vorrebbe dare un segnale, molto contenuto, subito e chi, come noi, preferirebbe concentrare tutte le risorse su uno shok all’Irpef nel 2021. Ma qualsiasi linea si sceglierà, se discussa e decisa insieme, sarà anche la nostra». Insomma, Conte si togliesse dalla mente l’idea di decidere senza trattare con i renziani.
In realtà anche Marattin sceglie di abbassare i decibel, ma la virata, più formale che sostanziale, non dipende dalla minaccia messa sul tavolo da Conte di arrivare alla crisi subito. Quello è un bluff e Renzi lo sa benissimo. Martedì prossimo sarà approvata definitivamente la riforma costituzionale. Da quel momento, per sei mesi, non si potrà votare, avendo già chiarito Mattarella che non manderebbe il Paese alle urne per eleggere camere composte da 945 parlamentari invece che di 400 come da Carta riformata. Dunque bisognerà aspettare i mesi necessari per l’eventuale richiesta di referendum confermativo e, se sarà avanzata, ci vorrà anche il tempo per celebrare la prova referendaria. Se pure il Pd e i 5 Stelle avessero il coraggio di sfidare le urne pur di mettere in riga il ragazzo di Rignano, ipotesi pochissimo credibile, non potrebbero farlo.
QUALCHE PESO in più potrebbe avere la minaccia, secondo alcune indiscrezioni messa in campo proprio da Conte, di «punire» Renzi tenendolo a stecchetto con le imminenti nomine. I renziani negano: «Figurarsi cosa gliene importa a Renzi di un amministratore delegato in più o in meno». In realtà gliene importa eccome, ma il peso determinante dei parlamentari che rispondono a Renzi, quelli di Iv ma anche quelli rimasti nel Pd, basta per mettere l’ex segretario dem al riparo da ogni brutta sorpresa nella spartizione delle nomine.
IL PUNTO È UN ALTRO. Negli ultimi giorni si sono moltiplicati gli attacchi rivolti a Renzi con l’accusa esplicita di criticare il governo al solo scopo di destabilizzarlo. L’ex premier sa perfettamente di dover restaurare un’immagine a dir poco appannatasi negli anni del suo immenso potere. Deve quindi evitare a ogni costo di farsi cucire addosso di nuovo i panni del cinico pronto a tutto per interesse personale, cercando di far apparire le sue critiche sempre e solo circoscritte al merito, mai «pretestuose», come le ha definite ieri la capogruppo di LeU Loredana De Petris e come tutti sono certi, probabilmente a ragione, che siano.
Per ora l’obiettivo dell’ex rottamatore è ingaggiare una guerriglia continua, ma sempre fermandosi prima che la situazione diventi irreparabile e far fruttare al massimo la postazione che, nello scontro tra Pd e M5S, lo vede ago della bilancia. Ha fatto fronte comune con Di Maio sull’Iva. Si prepara ora a farlo con Zingaretti sulla prescrizione.

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