SOCIETA

«Siamo sulla stessa barca», per non dimenticare

WORKSHOP SULL’ISOLA PER PROMUOVERE LA CULTURA DELL’ACCOGLIENZA
LUCA KOCCIlibia/italia/lampedusa

«Siamo sulla stessa barca»: è la frase scelta dal Comitato 3 ottobre come slogan per le iniziative della sesta Giornata della memoria e dell’accoglienza che si svolge in questa settimana a Lampedusa,
Nell’isola, porta d’Europa al centro del Mediterraneo, per l’occasione sono arrivati oltre duecento studenti di quaranta scuole superiori italiane e venti europee (Spagna, Francia, Regno Unito, Romania, Finlandia, Bosnia e altre). Resteranno a Lampedusa fino alla sera del 3 ottobre, per conoscersi e dialogare fra loro, per approfondire i temi legati al fenomeno delle migrazioni, per incontrare i sopravvissuti e per ricordare le vittime del tragico naufragio del 3 ottobre 2013, quando 368 persone morirono annegate in fondo al mare.
Spiega Tareke Brhane, eritreo, presidente del Comitato 3 ottobre, organizzatore dell’evento (in collaborazione con il Miur): «L’obiettivo dell’iniziativa, oltre lo scambio e la socializzazione, è quello di promuovere fra i giovani italiani ed europei una cultura dell’accoglienza e della solidarietà, per tentare di contrastare l’intolleranza e il razzismo e, al contrario, attivare una sensibilità e azioni di accoglienza ed inclusione».
Ovvero comprendere che tutti e tutte «siamo sulla stessa barca» (#siamosullastessabarca, l’hastag della campagna): le donne, gli uomini, i bambini e le bambine che dal nord Africa e dal Medio Oriente attraversano il Mediterraneo per cercare di arrivare in Europa; ma anche le cittadine e i cittadini europei, perché l’umanità non può essere fermata, separata e talvolta cancellata da frontiere, motovedette e muri.
L’istituto onnicomprensivo «Luigi Pirandello» di Lampedusa – una delle sedi dell’iniziativa, dove si svolgono i workshop – già alle otto del mattino è una babele di lingue e un viavai di studenti, suddivisi in dieci laboratori condotti da varie organizzazioni e ong: l’Unhcr parla di «Rifugiati nel mondo, non solo numeri»; Save the children dei minori stranieri non accompagnati; Medici senza frontiere di «Popolazioni in movimento e soccorso umanitario»; l’associazione nazionale vittime civili di guerra di «Migranti da conflitto ieri e oggi»; il Comitato 3 ottobre di «Immigrazione e ruolo dei mass media nella sua narrazione». Poi ci sono Amnesty International e il Cospe. Altri laboratori sono dedicati al viaggio e al soccorso in mare, alla tratta degli esseri umani, all’odio sui social. Mentre in piccoli gruppi, alcuni studenti, accompagnati dalla Guardia costiera, vanno a visitare il molo Favarolo, dove approdano molte barche.
«Sono arrivato dalla Somalia nel 2008, dopo un lungo viaggio durato sette mesi e la traversata del Mediterraneo in barcone», ci racconta Abdullahi Ahmed, oggi presidente di Generazione ponte, associazione che mette insieme rifugiati, italiani e italiani di seconda generazione e che nella settimana del 25 aprile organizza in un’altra isola, Ventotene, il Festival dell’Europa solidale e del Mediterraneo. «Ora io ho la cittadinanza italiana – prosegue –, posso muovermi liberamente, viaggiare, fare tutto. Altri però non hanno questa possibilità, restano invisibili, semplicemente perché sono privi di un pezzo di carta. Ma l’opportunità di raggiungere la felicità è un diritto, non può essere un privilegio. Dobbiamo lavorare per questo, soprattutto le giovani generazioni».
Oggi pomeriggio, dopo i laboratori e una tavola rotonda pubblica sul tema «Una Storia dietro ogni numero» con, fra gli altri, Carlotta Sami, portavoce per l’Europa del sud dell’Unhcr, e Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Oim, ci sarà l’incontro fra gli studenti e i sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre 2013, molti dei quali non vivono più in Italia, ma ogni anno tornano a Lampedusa per fare memoria di quell’evento. E domani la grande marcia verso la Porta d’Europa, uno dei luoghi simbolo dell’isola, con la commemorazione delle vittime e la deposizione della corona di fiori in mare, insieme ai superstiti e ai famigliari delle vittime.
«Il 3 ottobre è una data simbolica con la quale vogliamo ricordare tutte le vittime – spiega ancora Tareke Brhane –. Si tratta di invisibili, morti da invisibili, perché spesso non sappiamo chi erano e chi sono, riceviamo solo le telefonate dei famigliari che cercano un loro caro e non sanno che fine ha fatto.
La politica dei porti chiusi non è una soluzione. Le persone continuano a morire in mare, quindi è necessaria una risposta diversa, a lungo termine, come i corridoi umanitari e gli interventi di solidarietà internazionale nei Paesi da cui i migranti partono. La nostra piccola risposta è quella di questi giorni: far incontrare, dialogare e discutere fra loro i giovani di tutta Europa, perché qui a Lampedusa c’è tutta l’Europa che non vuole muri».

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