COMMENTO

Un errore e un favore a Donald Trump

Impeachment
FABRIZIO TONELLOusa/ucraina

Trump è un fellone e un pericolo per il pianeta ma avviare la procedura di impeachment, come ha annunciato la presidente della Camera Nancy Pelosi due giorni fa, è una pessima idea. Il tema della rimozione di Trump dalla Casa Bianca è stato subito presente.
Nella politica di Washington già fin dal giorno in cui è entrato in carica. E assomiglia sempre di più a una serie tv di Netflix, di quelle basate su un’idea interessante ma che si dilungano troppo, stagione dopo stagione. Il tema del presidente traditore, al servizio di una potenza straniera, è alle origini della nazione, fu a lungo discusso alla Costituente del 1787 ed è stato la fonte di molti prodotti letterari e cinematografici, come il celebre The Manchurian Candidate del 1962, di cui è stato fatto un remake da Jonathan Demme nel 2004. 
I DEMOCRATICi e la maggioranza dei giornalisti americani sono palesemente nostalgici di quell’anno 1974 quando Richard Nixon fu costretto alle dimissioni da due cronisti del Washington Post senza macchia e senza paura. Purtroppo in questa sceneggiatura c’è un difetto: nei 231 anni di vita della repubblica, nessun presidente è mai stato rimosso dal suo incarico attraverso l’impeachment. Il motivo è semplice: la costituzione esige un amplissimo consenso per rimuovere il presidente, un accordo che si deve concretizzare in un voto a maggioranza semplice della Camera e a maggioranza di due terzi del Senato. Storicamente, questo non è mai avvenuto. Il procedimento deve iniziare dalla Camera, dove per il momento c’è una maggioranza democratica, ma poi chi emette il verdetto è il Senato, controllato dai repubblicani, che sono un partito assetato di potere e disposto a tutto per conservare il controllo del Congresso e rieleggere Trump l’anno prossimo.
IL PROCESSO verso l’inizio della procedura è stato accelerato dalla notizia che Trump avrebbe ricattato il nuovo presidente ucraino Zelenskyj, condizionando la fornitura d’armi a un aiuto per trovare notizie compromettenti sul figlio di Joe Biden, il più probabile candidato democratico alla presidenza nelle elezioni del 2020. Di questo scambio c’è la prova nella trascrizione di una telefonata fra i due capi di stato e i democratici valutano che si tratti della prova definitiva che Trump ha sollecitato una potenza straniera a intervenire nelle elzioni americane, come del resto avvenne nel 2016 quando la Russia operò a suo favore. Un chiaro esempio di quegli high crimes and misdemeanors che la costituzione richiede per rimuovere un presidente.
Qui serve un passo indietro: l’espressione «high crimes and misdemeanors» fu il risultato di lunghe riflessioni e contrattazioni nel 1787 a Filadelfia. I delegati rinunciarono a formule come malpractice, neglect of duty, maladministration per evitare che il Congresso potesse “sfiduciare” il presidente per semplici disaccordi politici: occorreva un vero e proprio crimine. Oggi misdemeanor indica un reato minore, ma all’epoca, per i costituenti, high misdemeanors indicava una categoria di gravi violazioni della legge (great offenses) motivo di impeachment nel diritto consuetudinario inglese. Oltre a tradimento e corruzione, esse comprendevano abuso (misapplication) dei fondi pubblici, abuso di potere, negligenza nell’espletamento dei propri doveri, usurpazione (encroachment) delle prerogative del parlamento, o disprezzo del medesimo. Da questo punto di vista, Trump ha praticamente violato la costituzione ogni giorno da quando è entrato in carica.
TUTTAVIA, la mossa dei democratici a soli 13 mesi dalle elezioni presidenziali è un un grave errore politico perché non potrà andare in porto (i senatori repubblicani lo assolveranno) e, soprattutto, perché mobiliterà la base repubblicana ad andare a votare a suo favore. La minoranza di americani che ha eletto Trump nel 2016 (Hillary prese tre milioni di voti in più) era perfettamente cosciente delle bizzarrie del presidente e probabilmente si aspettava che molte delle sue imprese sarebbero state al limite della legge per i suoi vari conflitti d’interesse. Lo avevano votato ugualmente perché Trump aveva saputo farsi interprete di frustrazioni e risentimenti di antica data: i suoi sostenitori erano, e sono, minoritari nel Paese ma gli sono incredibilmente fedeli, come dimostra il fatto che il suo gradimento nei sondaggi non si è mosso di un centimetro dall’entrata in carica ad oggi. Era al 43% il giorno in cui ha giurato ed è il 43% oggi, nonostante le sue promesse non siano state realizzate e nonostante l’immagine di confusione e incompetenza trasmessa dalla Casa Bianca in questi tre anni. Se si mobilitano in massa, grazie al bizzarro sistema elettorale americano sono in grado di rieleggerlo.
I DEMOCRATICi hanno adottato uno storytelling in cui hanno perso le elezioni del 2016 perché il nemico storico complottava nell’ombra con l’aiuto di potenze straniere, ma non è così: hanno perso perché, oltre ai milionari, una parte della classe media impoverita e della classe operaia danneggiata dalla globalizzazione hanno preferito Trump. Hanno perso perché avevano in Hillary Clinton un pessimo candidato e perché il bilancio degli anni di Obama non era così entusiasmante come dicevano. L’impeachment serve a cancellare la riflessione sulle loro responsabilità e su cosa dovrebbe fare un partito che volesse difendere gli interessi dei più deboli ma rischia concretamente di far perdere le elezioni del 2020. Potrà il mondo sopravvivere ad altri quattro anni di Trump, magari rafforzato da un Congresso di nuovo controllato dai repubblicani?

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