CULTURA

Casa dello Scugnizzo e l’educazione di strada persa nella memoria

«FIGLI DEL SOLE», UN ROMANZO DI INCHIESTA DI MORRIS WEST
PAOLO VITTORIAITALIA/napoli

Mario, un giovane prete, proveniente dalle zone popolari dell’area portuale di Napoli, sente un’inquietudine: come continuare a parlare di Dio senza impegnarsi per gli scugnizzi abbandonati? Sa che i ragazzi di strada sono diffidenti, chiusi, impauriti e che non lo seguirebbero.
Tuttavia, prima ancora di essere un prete, è un ragazzo che viene proprio dalla strada e inventa uno stratagemma. Risale dal porto raccogliendo cicche di sigarette con una camicia sporca, pantaloni rattoppati e una coppola sulla nuca. Si presenta agli scugnizzi come uno di loro e insieme a loro per oltre quattro mesi vivrà sofferenze, malattie, freddo, fame, dormendo rannicchiato agli angoli di un cortile o riparato sotto le scale. Con un’invenzione degna della genialità partenopea, recita una parte che, in realtà, gli si addice benissimo: quella dello scugnizzo. Intanto si dedica allo studio dei bisogni reali di questi ragazzi e, con un amico che lo aiuta, rimette a posto una vecchia chiesa in disuso e la sistema come una casa.
COME NELLE COMMEDIE teatrali degne di questo nome c’è la fase del riconoscimento. Mario Borrelli si ripresenta a loro vestito da prete: gli ex compagni lo guardano con ostilità, reagiscono male, lo aggrediscono, ma dopo litigi e discussioni, abbattono la diffidenza e lo seguono poco a poco. Nasce così, nel 1951, in una Napoli dilaniata da miseria, disoccupazione e abbandono, un’esperienza di educativa di strada e popolare di avanguardia: la Casa dello Scugnizzo. Lo scrittore australiano Morris West nel libro Children of the Sun, scritto nel 1957, ce la racconta in forma di romanzo di inchiesta. Finalmente quest’anno, grazie al lavoro di Salvatore De Maio, ex scugnizzo, il libro viene pubblicato in Italia con il titolo Figli del Sole (Città del Sole, pp. 236, euro 20, traduzione di Liliana Calabrese).
In una città, da poco liberata dal nazifascismo, ma le cui macerie sono tutt’altro che superate, la Casa dello Scugnizzo accoglie oltre cento ragazzi di strada riparandoli da fame e freddo per poi alimentare il bisogno di educazione, amicizia, solidarietà, conoscenza. I ragazzi cominciano a frequentare la scuola, a studiare, abbandonano attività illegali e si organizzano in modo cooperativo. La Casa è un luogo essenziale, semplice e aperto, senza vincoli di dimora, dove in modo informale – anche se a volte improvvisato – si insegna a vivere una vita che altrove sembrava impossibile. Le istituzioni pubbliche tuttavia non seguono l’impresa del prete-scugnizzo in continua polemica con le gerarchie ecclesiastiche: la fase dell’inserimento del lavoro, che dovrebbe essere una politica strategica di sistema integrata al processo educativo, viene abbandonata a iniziative individuali e spesso assistenziali.
EPPURE I CAMBIAMENTI sono visibili; come testimonia lo stesso Morris «la paura sparisce dai suoi occhi, perde lo sguardo furtivo e inquieto della preda. Egli non è più aspro e irremovibile, sorride quando gli parli, comincia a giocare nel cortile; l’ho visto coi miei occhi ed è un’esperienza emozionante».
Casa diviene sinonimo dell’accoglienza di coloro che sono ai margini, senza famiglia, senza scuola, quando nel linguaggio populista assume perfino connotati divisivi tramite espressioni infelici come «a casa tua», «vattene a casa», «a casa loro», «a casa vostra».
«FIGLI DEL SOLE» è testimonianza di uno scrittore australiano che, mediante uno sguardo capace di addentrarsi nell’anima della città e dare voce agli scugnizzi di Napoli e pur non risparmiando critiche al malcostume del tempo, mostra che la pratica della solidarietà è possibile e necessaria e imprime parole di denuncia nella nostra memoria. Spetta a noi l’impegno in azioni culturali ed educative degne della storia dell’opera di Mario Borrelli.

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