l documentario del regista veneto. Alle belle riprese si
alternano i materiali dell'Istituto Luce
Un film pulsante di vita pur nelle sue desolate inquadrature deserte Il Pianeta in mare di Andrea
Segre dove il Petrolchimico di Marghera fa sentire la sua presenza nel ricordo degli anni produttivi e
in quelli delle lotte, importante testimonianza delle trasformazioni economiche e sociali avvenute nel
corso del tempo. Alle bellissime riprese si alternano emozionanti materiali dell’Istituto Luce che
testimoniano tutta la vitalità e le speranze di un’epoca. Restano gli slogan sui manifesti alle pareti
nella sala riunioni (ottenuta come diritto di assemblea retribuita con i contratti collettivi del 1969)
dove i delegati discutevano con la base e preparavano le piattaforme. «Via il governo Andreotti» si
legge. Quella sala riunioni deserta, rimasta immutata con i suoi manifesti alle pareti e le file di sedie
è uno dei tanti momenti drammatici del documentario, dove si svolge uno dei tanti dialoghi a due
quasi in formazione dialettica posizionati a sintetizzare la condizione operaia. Uno racconta i bei
tempi delle lotte, mentre l’altro ascolta passivamente, forse scettico. Il futuro per tutti e due è una
barchetta con cui andare a pescare, magari a Iesolo, non certo in quelle acque avvelenate, quando
sarà il momento della pensione.
DUE IMPIEGATI delle aziende telematiche parlano il linguaggio dei manager, valigette, aerei e
bonus. Altri due ex operai dragano il fondo del mare alla ricerca di vermi da pesca in una melma
nera di agenti chimici. La cuoca dell’unica trattoria rimasta, un tempo piena di avventori, operai e
camionisti, continua a fare la sua cucina a prezzi modici e ricorda con nostalgia l’affollamento dei
vecchi tempi. Il mostro morente invade lo schermo con i suoi lamenti di lamiere contorte e azzannate
dalle pale demolitrici, in giganteschi locali deserti dove si aggirano ancora alcuni personaggi. Due
impiegati in pensione tornano sulle loro tracce a ritrovare i vecchi gesti, scrivanie e postazioni e
perfino delle cassette di musica del ’76 lasciate lì. Tutto è rimasto come un tempo, come dopo una
catastrofe nucleare, come i quaderni e le tazze lasciate per terra nei documentari di Chernobyl: qui è
passata la delocalizzazione, la smobilitazione e quello che resta venti anni dopo è archeologia
industriale. Nei cantieri-mostri si costruiscono ora altri mostri, le grandi navi da crociera con venti
ponti e anche qui si lavora al risparmio: un saldatore solitario ripreso in campo lungo e un gruista,
mostrano dall’alto il desolato paesaggio circostante dove non si vede anima viva, ma i cormorani, i
fagiani e una lepre che corre da un cespuglio all’altro.
VEDIAMO gli operai che passavano il Natale sulla torretta occupata («gli operai non mollano») nelle
cronache Luce, ma i nuovi operai delle navi di Marghera non sono più quelli che sulla gru
bloccavano il cantiere per gestire lo sciopero, sono i bangladini che si accontentano di bassi salari da
dividere con la famiglia lontana o i romeni che sognano di «scappare da quell’incubo» e tornare a
casa, ma non si può. «Costiamo poco, lavoriamo bene», dicono. È una descrizione precisa non solo di
Marghera oggi, ma di tanta parte dell’industria italiana e da Taranto ai cantieri navali di Genova,
alla Fiat. I grandi poli industriali hanno ceduto il passo a occhiali e prosecco, scarpe e pasta, si
chiama riorganizzazione. «Gianfranco Bettin ha guidato il lavoro di ricerca, dice Andrea Segre e poi
realizzare il film è stato possibile quando sono stati dati i permessi per girare nei luoghi dove prima
non si poteva entrare se non si era lavoratori portuali. Volevo che nel film ci fossero persone che si
chiedessero ’cosa farò domani?’, persone legate a Marghera e ad altri poli industriali, pieni un tempo
di lavoro e oggi di ferite». E i lavoratori che hanno preso parte al film dichiarano di essere
interessati a fare in modo che la loro esperienza resti nella memoria collettiva.
UN LUNGO elenco di permessi concessi da Eni, smaltimento, porti mercantili, autorità portuali,
navi portacontainer e navi crociere, si sono potute fare quelle riprese «esteticamente così eccitanti»
come le ha definite giustamente il regista. Il futuro di Marghera? Bettin risponde che dopo quelle
epiche lotte oggi la solitudine in cui si trovano i lavoratori fanro sì che il tema del lavoro sia riportato
in primo piano. «Il piano Vega (il parco scientifico tecnologico) è stato un tentativo che ha avuto
diverse difficoltà, tra sfide perse e altre in corso. La mia impressione è che manchi una volontà
progettuale. È interessante per la sostenibilità l’esperimento in corso della raffineria Eni, ma c’è
poca chiarezza progettuale in altre aziende presenti, quello che si sente è che non c’è voglia di
discutere insieme per reinventare un futuro tra industria e ambiente». «Il Pianeta in mare» arriverà
nelle sale con ZaLab distribuzione.