SOCIETA

Tempi dei processi e Csm. Mediazione (im)possibile

GIUSTIZIA
ELEONORA MARTINIITALIA/ROMA

È indicato da Forza Italia come uno dei punti più generici del programma giallorosso, e d’altronde non potrebbe essere altrimenti. Se il testo della riforma della giustizia, approvata in Consiglio dei ministri «salvo intese» a fine luglio, è stato infatti terreno di scontro duro tra la Lega e il M5S, si può stare certi che lo sarà anche - e forse ancora di più - con il Pd.
Fiore all’occhiello del ministro uscente Alfonso Bonafede - attualmente l’unico candidato Guardasigilli possibile del governo nascente, perché difeso con le unghie e con i denti sia da Conte che da Di Maio - la riforma si è arenata sullo scoglio del processo penale. In particolare sui tempi per arrivare a sentenza, rispetto ai quali il governo uscente ha deciso di porre un tetto (6 anni, è stato l’accordo raggiunto, mentre il M5S ne aveva previsti 9) che i magistrati non devono superare, pena sanzioni disciplinari. Un tetto che dovrebbe calibrare l’impatto dell’abolizione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, norma introdotta dallo «Spazzacorrotti» che entrerà in vigore a gennaio 2020 ma solo in via subordinata ad una riforma complessiva del sistema giustizia.
Ecco perciò che i due punti della bozza di programma che «il presidente del Consiglio sta integrando e definendo», diramata in rete per mostrare l’avanzamento dei lavori del costituendosi governo giallorosso, non potevano che essere poco più che un titolo: «Occorre ridurre drasticamente i tempi della giustizia civile, penale e tributaria, e riformare il metodo di elezione dei membri del Consiglio superiore della Magistratura», è scritto al punto numero 12. Mentre il successivo è un omaggio al giustizialismo pentastellato: «Occorre potenziare l’azione di contrasto delle mafie e combattere l’evasione fiscale, anche prevedendo l’inasprimento delle pene per i grandi evasori e rendendo quanto più possibile trasparenti le transazioni commerciali».
Di prescrizione naturalmente non si parla neppure, né tanto meno di intercettazioni o di regolamentazione delle carriere dei magistrati, se non menzionando la riforma del Csm, l’organo di autogoverno della magistratura dentro il quale Bonafede non vuole assolutamente più vedere politici. E d’altra parte sono questi alcuni dei nodi che prevedibilmente verranno al pettine quando sarà il momento di mettere a confronto la visione grillina con quella dei democratici sul pianeta giustizia. Per misurarne la distanza (che però è suscettibile di variazione) basti ricordare il colpo di spugna con il quale l’attuale inquilino di via Arenula ha con entusiasmo cancellato due anni di lavoro e molte energie investite dallo Stato per dare corpo alla riforma dell’ordinamento penitenziario lungamente attesa e auspicata da tutto il mondo carcerario. Una riforma messa a punto da uno stuolo di esperti riuniti dall’allora ministro Andrea Orlando in tavoli tematici durante gli Stati generali dell’esecuzione penale, ma che il M5S ha sempre liquidato come «svuota-carceri» e «salva-ladri». Cosa ne verrà fuori dall’incontro/scontro di queste due Weltanschauung - ammesso che ancora resistano, all’interno dei due partiti - è tutto da vedere.

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