CULTURA

Mario Mieli, la politica di un desiderio fluido

I suoi scritti teorici raccolti nel volume «La gaia critica»
SILVIA NUGARAITALIA

Mentre è ormai pronto il film biografico Gli anni amari di Andrea Adriatico, che ridarà corpo all’icona Mario Mieli (1952-1983), molti suoi testi seminali sono finalmente stati riuniti grazie alla pubblicazione recente per Marsilio di La gaia critica. Politica e liberazione sessuale negli anni settanta. Scritti (1972-1983) (pp. 359, euro 20).
Il volume è stato ideato e curato da Paola Mieli, psicoanalista e sorella di Mario, e da Massimo Prearo, studioso di storia e politiche dei movimenti omosessuali in Francia e in Italia, che nel 2008 aveva tradotto in francese gli Elementi di critica omosessuale. I due sono partiti dall’idea di dare alle stampe in una sola volta gli scritti teorici e poetici di Mario Mieli ma si sono resi conto, una volta affondate le mani nel suo archivio personale, che la produzione sui due fronti era tanto ricca da richiedere di procedere separatamente, rimandando gli scritti poetici a una pubblicazione ulteriore e collezionando intanto gli scritti teorico-politici del pensatore, attivista e artista milanese.
La gaia critica riunisce dunque interviste, recensioni di libri e film, articoli e interventi inediti o editi su riviste e giornali dell’epoca come Re Nudo, Erba Voglio e Fuori!, giornale del «Fuori» (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano). Questo corpus permette di apprezzare il rigore del pensiero e l’eleganza della scrittura di un intellettuale di formazione classica che ascoltava Sibelius e leggeva tanto Marx quanto Dante. In Mieli, la sessualità è al centro di una riflessione mai puramente speculativa bensì strumento di trasformazione del mondo e della vita. Il suo pensiero è incarnato e trasformativo.
PER L’AUTORE degli Elementi, la liberazione dell’omosessualità è conditio sine qua non dell’emancipazione umana: «cadendo l’impalcatura capitalista su cui le sovrastrutture alienanti si reggono, cadranno tutte le divisioni e la sessualità ritornerà all’uomo nell’unità del suo molteplice» presentandosi non più «divisa in particolarità di ruoli (attivo e passivo, eterosessuale e omosessuale, maschio e ‘checcha’)».
Il fine della lotta di liberazione è dunque riappropriarsi di un erotismo potenzialmente transessuale. Questa dimensione trans, fluida, polimorfa, non binaria del desiderio e delle soggettività costituisce uno degli elementi più attuali del suo pensiero-pratica. In testi come My first lady o Ginandro in tram, Mieli racconta con molto brio le sue avventure quotidiane di travestito e chiosa così le reazioni divertite o angosciate della gente: «il travestitismo traduce nel comico la tragicità che è nella polarità dei sessi. Capita spesso che, come riflettendosi in uno specchio deformante, chi osserva un travestito rida della deformazione di se stesso: in quella immagine assurda egli riconosce, senza avvedersene, l’assurdità della propria immagine e risponde col riso dell’assurdo».
DA INTELLIGENTE e sensibile osservatore partecipante del femminismo degli anni Settanta, Mario Mieli traduce il principio di identità tra personale e politico in una démarche che la bella prefazione dei curatori definisce «attivismo etnografico». Una metodologia che lo porta a viaggiare e osservare la vita gay restituendo sorprese – la Londra frizzante e creativa del Gay Lib – e disillusioni – una Marrakech che lungi dall’essere un paradiso di sessualità liberata, si rivela più come un miraggio in cui le storture di un feudalesimo tardo e omofobo incontrano quelle di un capitalismo che asservisce tutto alle leggi del mercato.
L’esigenza di fornire una dimensione internazionale al proprio attivismo gaio-comunista lo porta a partecipare a riunioni e incontri dei movimenti omosessuali nella Berlino del muro e nella Parigi del Fhar alle cui assemblee settimanali registra non senza insofferenza il chiassoso protagonismo del gruppo di travestite Gazolines, rimanendo deluso dall’atteggiamento sciovinista di Guy Hocquenghem il cui Desiderio omosessuale lo aveva ispirato nella scrittura di Elementi.
TRA GLI INTERVENTI si trova la relazione tenuta al V congresso del «Fuori!» nel 1976 quando l’organizzazione decise di presentare propri candidati alle elezioni nelle liste del Partito Radicale approfondendo la rottura, già avvenuta nel 1974 al momento della federazione del Fronte al Partito radicale, tra un Fuori-radicale (o riformista) e un Fuori-rivoluzionario, per riprendere i termini utilizzati da Prearo nel suo libro La fabbrica dell’orgoglio.
Mieli, che si collocava sul fronte rivoluzionario, ammette che politicizzare l’omosessualità significa «danzare un minuetto con le avances meschine, mortifere e liberalizzatrici del capitale» e dunque per lui presentarsi alle elezioni politiche era cedere a tali avances. Al contrario, il suo sogno politico era rivoluzionare la vita a partire dal rapporto di ciascun essere con sé: «Il discorso di liberazione della nostra transessualità non comporta soltanto la molteplicità del desiderio rispetto alle altre persone, ma comporta anche riconoscere la molteplicità del nostro essere che è uomo e donna, e più che bisessuale è quello che noi non possiamo sapere ancora». Questa liberazione è tuttora in divenire.

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