VISIONI

L’America jazz di Jelly Roll Morton

Tradotto per la prima volta il libro di Alan Lomax, la storia del grande pianista e di un’epoca
MARCELLO LORRAI usa/new orleans

Come sa chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la vicenda del jazz, Jelly Roll Morton è stato una delle figure decisive nei primi passi di questa musica. Ma della storia del jazz il pianista è stato anche uno dei più grandi personaggi: e in questo caso possiamo senz’altro usare il termine «personaggio» non solo come semplice sinonimo di «protagonista», perché Morton sembra uscire dritto dritto dalle pagine di un romanzo, dalla fantasia di uno scrittore. Quando si legge Mister Jelly Roll, che Alan Lomax, celebre etnomusicologo americano, costruì a partire dalle interviste che Morton gli rilasciò nel 1938, c’è veramente da stupirsi che, pubblicato nel ’50, questo libro avvincente, che si legge appunto come un romanzo, abbia dovuto attendere quasi settant’anni per avere finalmente nel 2019 una traduzione in italiano, grazie alla collana Chorus dell’editore Quodlibet (Mister Jelly Roll. Vita, fortune e disavventure di Jelly Roll Morton, creolo di New Orleans, «Inventore del Jazz», 364 pp., 25 euro).
A MAGGIOR ragione se si considera che Mister Jelly Roll offre una testimonianza di prima mano su quelle origini del jazz a New Orleans su cui si sono versati fiumi di inchiostro, e che sono diventate persino un cliché. Come c’è da stupirsi anche del fatto che nessun regista, magari un film-maker sensibile al jazz, un Clint Eastwood, abbia pensato di tirarne fuori una pellicola: è un libro che in effetti ci appare bello pronto per trasformarsi in un film, compresi un paio di fulminanti colpi di scena che Lomax, sornione, ci riserva per le ultime pagine, come in un fuoco d’artificio finale.
C’È UN GRANDE personaggio ma c’è anche uno scenario formidabile: seguendo successi e vicissitudini di Morton, capace di guadagnarsi da vivere non solo come musicista ma anche giocando a livelli virtuosistici a biliardo e a carte, Mister Jelly Roll ci regala uno straordinario C’era una volta in America dell’epoca di cui il pianista è stato un protagonista, dall’inizio del novecento a tutti gli anni trenta. Fra bordelli e bische, vaudeville e linciaggi, è un’America che brulica di vite picaresche, un’America piena di energia vitale ma anche violenta e pericolosa.
Mister Jelly Roll presenta una ricca stratificazione di motivi di interesse. Non ultimo quello di essere un pionieristico esempio di biografia stesa riportando ampiamente dichiarazioni registrate del soggetto biografato: è quindi anche in parte rilevante una autobiografia, che però Lomax incornicia in una propria struttura narrativa e cerca di far quadrare con i propri schemi: in questo senso il libro ci parla anche di Lomax, anche lui un personaggio di non poco conto. Inizialmente Lomax pensa ad una breve intervista, indirizzata a quello che al ricercatore preme, il folclore di New Orleans: ma Morton gli si impone in maniera esplosiva (la sua entrata in scena alla Biblioteca del Congresso di Washington, dove avvengono le session di registrazione, è uno dei momenti più affascinanti del libro) e l’intervista, nell’arco di un mese, diventa monstre. Poi, dopo la morte del pianista nel ’41, Lomax indagherà a New Orleans e intervisterà parenti, musicisti e le due donne più importanti della vita di Jelly Roll, allestendo un magnifico lavoro di storia orale. Le parate, il Mardi Gras, il voodoo, le violenze razziali del 1900, il quartiere a luci rosse, le sale da gioco, i pianisti nelle case di piacere, la ricchezza di musiche di ogni genere, dal blues all’opera: il ritratto di New Orleans che esce dalle pagine di Mister Jelly Roll è formidabile. Dal libro emerge come decisiva per la transizione dal ragtime al jazz la dialettica tra creoli – i mulatti con origini francesi o spagnole, e spesso liberi già prima della fine della schiavitù – e i neri, di cui Lomax, di formazione marxista, sottolinea il carattere di classe: c’è una reazione chimica nella quale i creoli portano la loro maggiore competenza tecnica, mentre i neri un approccio più libero, spregiudicato, un maggiore slancio, che trascinano l’amalgama nella direzione del jazz. Significativamente, nel racconto di Morton neanche mezza riga segnala un contributo bianco – su cui negli ultimi decenni si è tanto ricamato - alle origini del jazz: il pianista si limita a ironizzare sul fatto che della Original Dixieland Jass Band (il quintetto di bianchi di New Orleans che nel ’17 incide il primo disco della storia del jazz) si sarebbe sentito parlare solo molto dopo...
È curioso che Mister Jelly Roll abbia fissato una immagine antipatica di Morton: perché anche se Lomax si premura di ricordarci che era egocentrico e millantatore, il libro ce lo mostra come umanamente tutt’altro che disprezzabile, un «gentiluomo», una persona generosa, e capace persino di riconoscere la propria inferiorità, come pianista o come preparazione musicale, rispetto a colleghi che ammirava. E leggendo Mister Jelly Roll si capisce meglio quale fosse la concezione che Morton aveva del jazz e cosa intendesse proclamando di esserne stato l’«inventore»: dopo di che il jazz non è il parafulmine e ovviamente nessuno lo ha «inventato», ma certo Morton è stato uno dei pochissimi ad essere determinanti per la fisionomia di questa nuova musica e dei primissimi ad avere coscienza della sua novità.

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