VISIONI

Jazz em Agosto, «Resistenza» attraverso la musica

Heroes are Gang Leaders, Triple Double, Code Girl. La trentaseiesima edizione della rassegna portoghese
MARCELLO LORRAIportogallo/Lisbona

C’è l’ebbrezza di essere a Monterey nel 1958, alla prima edizione del festival californiano, con aerei che sbucavano a bassa quota dalla nebbia e con il rumore dei loro motori incombevano grottescamente sulla musica, come si può sentire dall’album ricavato dall’esibizione di Billie Holiday. Il festival era stato incautamente organizzato vicino ad un campo di aviazione. L’auditorium a cielo aperto in mezzo al verde del parco della fondazione Gulbenkian se la deve vedere invece con gli aerei in fase di atterraggio all’aeroporto di Lisbona. Andando con la memoria a qualche edizione fa, la cadenza si è infittita, un rombo ogni pochi minuti, con le luci degli apparecchi che compaiono e scompaiono fra i rami degli alberi. Un ritmo inquietante, che pero sembra quasi richiamare la musica alla nostra contemporaneità e i suoi problemi.
LA TRENTASEIESIMA edizione di Jazz em Agosto, da quasi vent’ anni diretta da Rui Neves, e intitolata Resistance, si è aperta il primo agosto con Songs of Resistance, progetto del chitarrista Marc Ribot che rivisita canzoni di protesta e di lotta, dal movimento dei diritti civili americano alla resistenza europea, compresa Bella Ciao. Sempre nei primi giorni Heroes Are Gang Leaders hanno presentato il loro lavoro dedicato al compianto intellettuale e attivista afroamericano Amiri Baraka. Jazz em Agosto può a buon diritto proporre questo tema, perché è essa stessa una rassegna resistente, che ha tenuto la barra di una proposta sempre avanzata, non conformista, fuori dal mainstream, che ha molto il senso di come l’estetica sia di per sé politica, anche senza bisogno di impegno esplicito. Quest’anno la manifestazione si è articolata in due tranche di quattro giorni, dal giovedì alla domenica, con un concerto nel tardo pomeriggio in uno degli auditorium della fondazione e uno in serata all aperto.
NEGLI ANNI la rassegna con la sua continuità e coerenza di scelte si e costruita un pubblico che segue con interesse anche le proposte meno agevoli. E che arrivando dall’Italia colpisce per la sua attenzione e per la sua compostezza. Impegnative sono spesso in particolare le proposte del pomeriggio, dove nella seconda tranche si e ascoltato un duo di percussioni di Joey Baron e Robyn Schulkowsky, un altro dell’arpista Zeena Parkins e del percussionista Brian Chase, e il travolgente trio del chitarrista francese Julien Desprez. Molte le chitarre, in questa edizione. Due nel gruppo Triple Double di Thomas Fujiwara, con tre coppie di strumenti, due batterie, quella del leader e di Gerald Cleaver, la tromba di Ralph Alessi e la cornetta di Taylor Ho Bynum, e le due chitarre di Mary Halvorson e di Brandon Seabrook. Proprio le chitarre danno una avvincente impronta alla musica del gruppo. Halvorson e Seabrook si scambiano un ruolo ritmico e di creazione di riff, con Halvorson in generale in una funzione più sottile, più coloristica, Seabrook – molto vario e avvincente - più aggressivo, più rock. Fujiwara e Cleaver suonano con un atteggiamento scevro da una retorica batteristica, e evitano un accompagnamento di tipo jazzistico, preferendo la creazione di una base ritmico-timbrica fitta, fluida, come un flusso in cui si alternano aumento e allentamento della tensione. I due fiati espongono all’unisono dei motivi spesso con una spiccata componente melodica, poi si alternano nei soli, più corrosive Ho Bynum, più diretto Alessi, mentre i loro interventi sono incorniciati dalle chitarre.
I BRANI propongono delle atmosfere forti, di una contemporaneità aperta, vivace, lontana da convenzioni jazzistiche. Thomas Fujiwara e Mary Halvorson sono due delle figure di leader più interessanti oggi sulla scena, e la Halvorson si è presentata anche alla guida di una propria formazione – il suo progetto Code Gilr – con Fujiwara alla batteria, la vocalist Amirtha Kidambi, la sassofonista e vocalist Maria Grand, il trombettista Adam O’Farrill e un veterano come Michael Formanek al contrabbasso. Il repertorio e costituito di brani di cui la Halvorson ha composto sia la musica che le parole, con parti vocali che lasciano però largo spazio allo sviluppo della musica.
AMIRTHA KIDAMBI sta tra canto pop e di matrice classico contemporanea, sforando in qualche uscita più estrema, e a volte Maria Grand fa da seconda voce, mentre i fiati sottolineano con eleganza o contrappuntano. Fini gli assoli di O’Farrill, ispirata al sax tenore Maria Grand, in una musica pacata e intensa, in cui la Halvorson guida con molta discrezione, mettendosi in evidenza unicamente alla fine con un solo di quella intelligenza e creatività per cui è conosciuta. Anche questa musica fuori dagli schemi, e che fa sentire calati nell’ oggi.

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