CULTURA

Circolarità ripetitive e paralizzanti

SCAFFALE
BENEDETTO VECCHIusa

Axel Honneth è noto per la sua riproposizione del concetto di riconoscimento, articolato ogni volta diversamente a seconda del contesto nel quale viene presentato. Un percorso di ricerca scandito da ciclici stop&go tesi più che a irrobustire il concetto ad aggirare le critiche radicali al quale è sottoposta la sua riflessione, come quelle di Judith Butler che ha liquidato il riconoscimento come una parola chiave della normalizzazione neoliberale.
Critiche che per Honneth sono però spia di interesse e non di ostilità verso il concetto di derivazione hegeliana, come ribadisce nella presentazione delle Tanner Lectures sulla Reificazione tenute all’università di Berkeley nel 2005 e finalmente tradotte da Meltemi (pp. 100, euro 10, traduzione di Carlo Sandrelli).
È INDUBBIA la capacità di Honneth nell’amministrare con abilità e sagacia la sua proposta filosofica. Lo testimoniano gli innumerevoli saggi pubblicati nel corso degli anni, da Lotte per il riconoscimento (Il saggiatore) a Riconoscimento e conflitto di classe (Mimesis), da Il diritto alla libertà (il Mulino) al recentissimo Riconoscimento (Feltrinelli, il manifesto, 3/5/2019). Con una ambizione mai celata nello spiegare, più e meglio di altri, le cose del mondo, si è quindi misurato, via via, con la French Theory, la riscoperta di Martin Hedegger, la filosofia del linguaggio di John Searle, non tralasciando una proposta di socialismo come istanza etica che dovrebbe orientare una politica di contenimenti delle diseguaglianze sociali senza però rimettere in discussione l’economia capitalistica di mercato (L’idea di socialismo, Feltrinelli). Queste lectures pubblicate da Mimesis prendono l’avvio dalle classiche pagine di Gyorgy Lukacs sulla reificazione contenute nel classico Storia e coscienza di classe nel quale il filosofo ungherese ha mirabilmente combinato le pagine marxiane sull’alienazione, quelle di Georg Simmel sula filosofia del denaro e, infine, quelle di Max Weber sulla tendenza della modernità a oggettivare, attraverso l’attività burocratica e statuale, ogni aspetto della vita in società attraverso processi di razionalità strumentale.
MERITO DI HONNETH è sottrarre l’opera di Lukacs a una volgare damnatio memoriae che ha colpito il filosofo ungherese perché marxista in vita. La riscoperta operata da Honneth non è così diversa da quella operata da Jacques Derrida per Karl Marx. In entrambi i casi, Marx e Lukacs sono riletti depurati tuttavia da quel passaggio che dalla comprensione prevede la trasformazione della realtà. Sono cioè spettri non da demonizzare, ma da ripulire del loro impegno militante.
La scelta di misurarsi con la reificazione non è causale per Honneth. Il concetto è infatti ritenuto come un vero e proprio «oblio del riconoscimento» qui concettualizzato come una modalità relazionale che precede l’atto del conoscere all’interno di un processo di empatia e di identificazione con gli stati d’animo dell’altro, essendo questi corrispondenti, in un gioco di specchi che non comporta eguaglianza, di quelli esperiti individualmente ma che aspettano tuttavia di essere ancora spiegati. Il riconoscimento ha cioè la stessa funzione dei neuroni a specchio: si comprendono azioni, pensieri, modi di essere perché c’è corrispondenza con quelli vissuti individualmente. Nel riconoscimento non c’è tuttavia sospensione del giudizio su quel che si esperisce dell’altro: il giudizio, come la conoscenza, è un processo cognitivo e riflessivo successivo al riconoscimento. Senza di esso non ci può cioè essere giudizio e conoscenza.
LA REIFICAZIONE illustrata in queste lectures è infine propedeutica alla proposta di una antropologia filosofica sulla natura umana nella quale l’uomo è un essere sociale propenso a stabilire relazioni vis-à-vis, intersoggettive. Se per Lukacs sono tre le direttive della reificazione (centralità del valore di scambio, tendenza alla oggettivazione del mondo e degli uomini ridotti a cose, autorelazione con se stessi in quanto oggetti da svelare attraverso processi di oggettivazione), in Honneth è invece rilevante solo la terza direttiva. Espulsi il feticismo delle merci - e quella separazione dai mezzi di produzione e riproduzione delle condizioni di vita così cogente in Lukacs – e la tendenza all’oggettivazione nei processi di conoscenza del mondo, l’uomo è qualificato come un animale sociale che ha nella reificazione una condizione immanente e ineliminabile nello stare al mondo anche quando si diano le condizioni per il superamento del capitalismo. C’è «prassi impegnata» e liberatoria solo nel riconoscimento. Impegnata per cosa e liberatoria da cose sono però fattori avvolti nel mistero.
Certo in queste pagine il riconoscimento manifesta una circolarità paralizzante: torna cioè sempre alla sua base di partenza indifferente alla trasformazione di quei rapporti sociali di produzione capitalistici per Lukacs ostacolo alla libertà. Per Honneth invece altro non sono che fattori di uno stato di natura in cui l’attività del riconoscimento aiuta ad acquisire consapevolezza. Per il passaggio dalla comprensione alla trasformazione, fattore ineludibile per la prassi della liberazione dalle condizioni materiali che alimentano la reificazione, non resta che attendere tempi migliori, che come Godot sono sempre annunciati ma mai si presentano agli uomini e alle donne che continuano a macerarsi nella loro condizione alienata.

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