VISIONI

L’isola arida divenuta un’opera d’arte

A cent’anni dalla nascita un’immersione nella sua opera multidisciplinare
LORENZA PIGNATTIisole canarie/lanzarote

«Quando nacque César Manrique nel 1919, Lanzarote non appariva nelle mappe delle isole Canarie, era considerata un grande sasso arido, dove si diceva che le pecore mangiavano pietre, visto che mancava tutto, anche l’erba e l’acqua potabile», afferma Orlando Britto, direttore del Centro atlántico de arte moderno di Gran Canaria, che ospita la mostra Universo Manrique, immersione visiva nell’opera multidisciplinare di César Manrique, artista, scultore, architetto, ecologista, nato a Lanzarote, ma trasferitosi a Madrid e a New York prima di tornare nell’isola nel 1966.
LA SUA OPERA d’arte più compiuta e celebrata non sono i suoi dipinti materici, realizzati con la sabbia e la lava di Lanzarote, sorta di informale vulcanico, o le bandiere del cosmo, in cui celebrava l’universalità della specie umana al di là delle suddivisioni territoriali. Sono invece i suoi interventi paesaggistici nelle isole Canarie, a creare un esempio unico d’arte pubblica in Spagna. A Lanzarote ha promosso un modello d’intervento sul territorio sostenibile e bloccato, insieme a gruppi di attivisti locali, la costruzioni di nuovi hotel e strutture turistiche. Attivismo che lo porta ad essere arrestato e ad essere insignito, nel 1978 a Berlino, del Premio Mondiale per l’Ecologia e Turismo. L’anno successivo alla sua morte, avvenuta nel 1992, l’Unesco riconosce l’isola come Riserva della Biosfera.
DI FORMAZIONE non era architetto, aveva studiato arte a Madrid, influenzato dalle opere di Nestor Martin e Fernandez de la Torre. Negli anni ’50 esplora le possibilità dell’astrazione materica, disegna tessuti, realizza porcellane e interventi murali per l’interior design dell’Hotel Fenix di Madrid, nel 1955 partecipa a alla TerzaBiennale ispano-americana dell’Avana e a diverse edizioni della Biennale di Venezia (nel 1955 e nel 1960), per ricordarne solo alcune. Nel 1964 si trasferisce a New York, ed entra in contatto con gli artisti della pop art. Al MoMA vede Architecture Without Architect, mostra curata da Bernard Rudofsky riguardante le architetture vernacolari, le strutture abitative scavate nelle rocce, e le soluzioni informali sviluppate nei paesi in via di sviluppo.
«Architecture Without Architect fu determinante per Manrique - commenta Britto - perché capisce che è necessario valorizzare l’unicità dell’ecosistema dell’isola, senza snaturarlo per rincorrere un turismo cieco e distruttivo. Si confronta e coinvolge nelle sue riflessioni Jose Ramírez, illuminato presidente del governo dell’isola e insieme iniziano una collaborazione che dura una quindicina d’anni, che trasforma radicalmente l’isola».
IL PRIMO intervento pubblico di Manrique fu la riapertura del Jameos del Agua, un tunnel vulcanico creatosi circa 4000 anni fa, con l’eruzione del vulcano La Corona, che si trovava in uno stato di completo abbandono. Venne pulito e drenato per essere trasformato nel «più bel nightclub del mondo» come affermò lo stesso Manrique, che creò un’opera mimetica tra natura e artificio. Alcuni anni dopo costruì Taro de Tahiche, la sua casa-studio, creando una perfetta fusione tra le strutture laviche esistenti e nuovi interventi architettonici, nel rispetto delle forme rurali del luogo. È ora sede della Fondazione César Manrique, dove accanto alle sue opere vi sono quelle dei tanti artisti che frequentavano la casa, divenuto luogo leggendario per la bellezza e vivacità, come scrisse Frei Otto quando partecipò alla conferenza lì organizzata chiamata La vivienda del futuro.
A TAHICHE visse una ventina d’anni, alternando il suo lavoro artistico con interventi di carattere pubblico, come il Mirador del Rio, che si trova a circa 400 metri di altitudine sulla scogliera del Risco de Famara, la Ruta de los Volcanes, il ristorante El Diablo, il centro culturale El Almacén, e il Jardín de Cactús.
Universo Manrique, visitabile fino al 29 settembre, celebra il centenario della nascita dell’artista raccogliendo più di 200 opere tra disegni, collage, sculture e bozzetti. «Non abbiamo voluto realizzare una mostra cronologica quanto tematica. Vi sono sale con le opere informali, altre con le lettere/collage che scriveva all’amico Pepe Dámaso, una conversazione durata un’intera vita, i dipinti e le sculture pop, le fotografie, gli scritti, e le testimonianze del suo attivismo ecologista» precisa Britto e aggiunge: «Ho coinvolto diversi artisti e architetti delle Canarie che hanno indagato l’eredità di Manrique nei diversi ambiti in cui ha operato. Quando è stato fondato il Caam nel 1989 uno degli obiettivi costituenti è stato quello di indagare la connessione tra l’arte delle Canarie e quella dell’Africa, delle Americhe e dell’Europa, visto che la cultura visiva dell’arcipelago subisce l’influenza di questi tre continenti. E Manrique, con la sua straordinaria visionarietà è stato in grado di trasformare un’isola arida in un landmark internazionale».

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