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«Ridurre il numero dei senatori riduce la democrazia»

RAPPRESENTANZA
MARCO DE LUCA, FRANCESCO MONTORIO, GIAN GIACOMO MIGONEITALIA

Dissentiamo dall’articolo di Gian Giacomo Migone quando definisce il Senato «storicamente la camera meglio funzionante anche perché meno pletorica». Sembra fuorviante il confronto con gli Usa. Un Sistema Federale con 50 Stati. Ciascuno con grande autonomia legislativa e propri Parlamenti dove la rappresentanza è garantita da migliaia di parlamentari. Del resto sempre difficili sono i confronti con altri Paesi. E sorprende l’affermazione: «la rappresentatività non dipende dal numero di parlamentari…». I Costituenti, per realizzare un reale rapporto candidato/elettori, stabilirono proporzioni tra numero di eletti ed abitanti: 1/80mila alla Camera e 1/200mila al Senato. Valori in pratica non alterati quando, nel 1963, si passò al numero fisso. Con questa riforma i valori aumenterebbero rispettivamente a 1/151mila e 1/302mila. Rapporti già discutibili che vanno fuori da ogni logica rappresentativa col combinato disposto riforma costituzionale-Rosatellum ter: nei collegi uninominali al Senato il rapporto eletto/cittadini passa da 1/500 a 1/800. Una legge proporzionale ridurrebbe gli effetti, non li cancellerebbe; ma perché dovrebbero modificare una legge elettorale che hanno appena approvato? Meno parlamentari significa maggior controllo da parte delle segreterie. Significa minoranze meno rappresentate, fino all’esclusione: in alcune regioni resterebbero fuori anche partiti al 10%. Con ricadute anche sulla composizione delle commissioni parlamentari. Si vogliono colpire i «privilegi»? Si intervenga su quelli. Senza penalizzare l’istituzione più lesa ed esautorata negli ultimi tempi: il Parlamento!
Marco De Luca, Francesco Montorio, Coordinamento per la Democrazia
Costituzionale - Milano 

Ringrazio De Luca e Montorio perchè il loro intervento alimenta un dibattito destinato a crescere e che non devi trovarci impreparati. Nostra preoccupazione comune è di salvaguardare il Parlamento, contro una tendenza mondiale, non soltanto italiana, a rafforzare il potere esecutivo. Il ruolo parlamentare dipende, innanzitutto, dalla sua rappresentatività. A questo fine è decisivo l'impegno contro la legge elettorale, da cui sinistra e centrosinistra sono attualmente latitanti (dove siamo, noi militanti del No referendario?), o collusi (nominare parlamentari fa comodo a tutti gli apparati di partito). Importa che i parlamentari si adoperino per i propri rappresentati - pochi o tanti è relativamente ininfluente - e non passino il loro tempo a cercare la pantofola di chi potrebbe confermarli in carica (cfr. a questo proposito la rappresentatività di un senatore della California o di New York con decine di milioni di elettori).
In secondo luogo, conta la funzionalità del Parlamento. I miei interlocutori interpellino qualsiasi ex parlamentare o funzionario parlamentare bona fide con una conoscenza comparata di Camera e Senato, verifichino le percentuali di partecipazione ai lavori di commissione, assai più rilevanti dell'aula, e poi ci dicano se la pletora dei numeri non nuoce.
In terzo luogo, il potere parlamentare dipende anche dalla sua legittimazione popolare. Ditemi se non è un problema che quello italiano batta ogni record occidentale nel rapporto numerico popolazione-parlamentari? Quanto al confronto con gli Stati Uniti, mi è fin troppo facile rispondere che, se si fanno rientrare nel conteggio senatori e deputati dei singoli stati (il cui potere è in declino), non si possono escludere i nostri consiglieri regionali (con un potere, aihnoi, in pericolosa ascesa). Non c'è scampo. Italia (con una popolazione di 59.4 milioni) batte USA (322.2 milioni) 945 parlamentari a 535. Sono numeri da non regalare ai demagoghi in circolazione. E nemmeno quei pochi soldi che si risparmierebbero. Infine, un'osservazione tattica. Se la nostra maggioranza governativa ha deciso di scegliere la riduzione dei parlamentari come traino ad una legge elettorale scellerata, a noi non converrebbe distinguere?
Gian Giacomo Migone

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