POLITICA

L’Italia fanalino di coda resta sorvegliata speciale

LE STIME DI CRESCITA DELLA COMMISSIONE UE
ANDREA COLOMBOitalia/europa/bruxelles

Spiacenti ma «non ci si attende che in Italia l’attività economica rimbalzi significativamente prima della fine dell’anno». Di conseguenza le previsioni della Commissione europea sulla crescita italiana restano miserrime: 0,1%, un bel salto all’indietro rispetto al miraggio dell’1,5% vagheggiato dal governo nella manovra del settembre scorso. Per il 2020 dovrebbe andare un po’ meglio ma nemmeno troppo: 0,7%. In entrambi i casi, l’Italia si attesterebbe come fanalino di coda nell’intera Unione europea. Il vero monito arriva però nel commento: «I rischi alla crescita restano pronunciati, specie nel 2020, quando le politiche di bilancio affrontano particolari sfide».
CERTO LO SPREAD è in calo e il premier Giuseppe Conte cita il dato a riprova del giusto indirizzo della politica economica gialloverde: «I nostri conti pubblici sono solidi, in ordine e la significativa riduzione dello spread ne è la prova». Ma i messaggi della commissione vanno letti tra le righe e c’è un passaggio scritto apposta per anticipare l’argomento messo in campo dal capo del governo italiano. Per Bruxelles, infatti, le «tensioni sui mercati» si sono calmate un po’ per le «prospettive di allentamento della politica monetaria», cioè grazie alla Bce di Mario Draghi, e un po’ per «la correzione dei conti adottata con l’assestamento di bilancio», cioè grazie alle imposizioni della commissione stessa.
Il segnale è già chiaro. Pierre Moscovici, nel suo tipico stile morbido, lo precisa ulteriormente: «In Italia le cose non sono andate come si voleva. L’Italia ha lasciato la recessione ma l’economia è stagnante. Dopo due rischi di procedura d’infrazione evitati grazie al dialogo speriamo che la terza volta sia quella giusta con una legge di bilancio complessivamente conforme al patto di stabilità e una politica economica favorevole alla crescita». La traduzione è semplice: Bruxelles non ha rinunciato al progetto di spingere, o costringere, l’Italia a invertire l’indirizzo della sua politica economica.
IL SEGNALE DI IERI si aggiunge a quello, più brusco, lanciato qualche giorno fa da Ecofin e ai commenti dell’agenzia di rating Fitch, che in agosto valuterà l’affidabilità dei conti italiani. Ecofin ha messo in fila una serie di raccomandazioni che equivalgono quasi a un memorandum: aggiustamento del deficit strutturale pari allo 0,6% ogni anno, spostamento di tutte le risorse straordinarie al fine di ridurre il debito, ripristino della riforma pensionistica (anche se s’intende non la cancellazione di Quota 100 ma la conferma che resterà in vigore solo per il triennio stabilito, riducendosi così a una maxifinestra), indirizzo della spesa solo sugli investimenti produttivi. Fitch anticipa di fatto la scelta di evitare per ora il downgrade ma segnala, nella nota diffusa martedì, che la natura dell’aggiustamento fiscale per il 2020 non è chiara e che in queste condizioni le tensioni con Bruxelles «rischiano di riemergere» al momento di varare la legge di bilancio.
CIÒ CHE GIORNO DOPO giorno le istituzioni europee e le agenzie di rating vanno precisando è la reale natura della soluzione che ha permesso all’Italia di «schivare» la procedura. Non una pace ma una tregua raggiunta, nell’interesse di tutti, per rimandare il momento della verità di qualche mese, evitando così una crisi che avrebbe colto anche la Ue in un momento di particolare fragilità, con il gran ballo delle nomine e della formazione di una maggioranza in corso. L’apertura di credito c’è stata, ma con l’Italia nelle vesti del sorvegliato speciale alle prese con una missione tra le più difficili: evitare che il rapporto deficit/Pil arrivi al 3,5% e che il debito lieviti sino al 135% del Pil, come da cupe previsioni europee, e farlo senza aumentare l’Iva, come da clausole di salvaguardia, senza rimangiarsi le riforme del 2018 e anzi trovando le coperture per le nuove riforme di bandiera dei soci di maggioranza, Flat tax, sia pur inizialmente limitata, e salario minimo. Sul salario ieri mattina Di Maio ha annunciato il raggiungimento di un accordo con la Lega, ma il sottosegretario Durigon ha subito tirato il freno: «L’accordo c’è se sarà a costo zero per le imprese».

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it